Radici eroiche della fede Cina e fedeltà al Vangelo
Come padre Huang, appunto: era un seminarista adolescente quando nel 1949 arrivarono i comunisti a Kunming; lo mandarono a lavorare come operaio in un’officina per le automobili. Ma il suo impegno nell’apostolato non doveva essere diminuito, se nel 1966 - quando in Cina si scatenò la nuova tempesta della Rivoluzione culturale - fu tra i primi a finire in carcere. Uscì solo nel 1978 per essere rimandato di nuovo a lavorare. E nello Yunnan raccontano che a metà degli anni Ottanta, ai tempi delle prime “aperture” del regime comunista, lui ricominciò subito a parlare del Vangelo dalla sua falegnameria. Dopo aver custodito per tanti anni il seme della sua vocazione, poi, il 4 giugno 1995 nella cattedrale di Zhaotong, poté finalmente essere ordinato per mano del vescovo monsignor Matteo Chen Muchen, allora 92enne. E in questi quasi trent’anni ha svolto il suo ministero in un’estrema periferia della Cina, rispettato da tutti pur in un contesto difficile segnato anche nello Yunnan dalle prove di forza dell’Associazione patriottica, l’organismo cattolico “ufficiale” controllato dal Partito. La storia di padre Huang riassume in qualche modo tutte quelle di una generazione eroica, che per evidenti motivi anagrafici va ormai scomparendo in Cina. Sacerdoti, ma anche suore che negli anni Cinquanta furono forzatamente rimandati a casa con la chiusura dei conventi fondati dai “missionari stranieri”. Anche loro custodirono intatta la propria vocazione per decenni. E quando dalla fine degli anni Ottanta fu di nuovo possibile, tra mille equilibrismi e con il sostegno di qualche vescovo “ufficiale”, hanno ridato vita alle proprie comunità, aggregando intorno a sé ragazze di trenta o quarant’anni più giovani. Hanno tenuto viva la fede nella tempesta, al di là di ogni ideologia. E anche nella Cina di oggi continuano a mostrare che non gli slogan politici, ma la fedeltà di un cuore libero sono l’unica via possibile per il Vangelo. © riproduzione riservata