«Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te». Questa frase, tratta dalle Confessioni di Sant’Agostino, Padre della Chiesa vissuto a cavallo tra il quarto e il quinto secolo, fotografa una “dinamica” della fede molto diffusa, ma che molto spesso non sappiamo riconoscere. Non per cattiva volontà, ma perché siamo troppo ripiegati su noi stessi. Per dirla in altre parole, non siamo capaci di guardarci “da fuori” o, come ha detto Papa Francesco qualche giorno fa, non sappiamo leggere la nostra vita, che è «il “libro” più prezioso che ci è stato consegnato, un libro che tanti purtroppo non leggono, oppure lo fanno troppo tardi, prima di morire».
Ma che cos’è questo libro? Proprio la vicenda di Agostino ci aiuta a capire. Una giovinezza che a definirla disordinata è usare solo un blando eufemismo (bevitore, giocatore, donnaiolo, con un figlio, Adeodato, avuto da una relazione con una ragazza di cui non si conosce il nome), dopo un’infanzia e una prima adolescenza in cui la madre, Santa Monica, l’aveva indirizzato al cristianesimo. E poi l’approdo al manicheismo, e finalmente la conversione. «Eppure – ha detto Bergoglio – proprio in quel libro si trova quello che si cerca inutilmente per altre vie. Sant’Agostino, un grande cercatore della verità, lo aveva compreso proprio rileggendo la sua vita, notando in essa i passi silenziosi e discreti, ma incisivi, della presenza del Signore». Questo “rileggere” la propria vita è molto più di un esame di coscienza. È imparare a vedere gli indizi che il Signore semina lungo la nostra esistenza. Secondo Agostino «nell’uomo interiore abita la verità», ed è proprio questo l’invito che Francesco rivolge «a tutti voi, anche lo faccio a me stesso: “Rientra in te stesso. Leggi la tua vita. Leggiti dentro, come è stato il tuo percorso. Con serenità. Rientra in te stesso”».
Chiunque si senta smarrito, deluso, sconfitto, lontano, chiunque si chiuda in quel pessimismo esistenziale che tante volte non ci fa nemmeno respirare, può uscire da questa spirale. Francesco, a questo proposito, ha
raccontato di una volta che conobbe «una persona di cui la gente che la conosceva diceva che meritava il Premio Nobel alla negatività: tutto era brutto, tutto, e sempre cercava di buttarsi giù. Era una persona amareggiata eppure aveva tante qualità. E poi questa persona ha trovato un’altra persona che l’ha aiutata bene e ogni volta che si lamentava di qualcosa, l’altra diceva: “Ma adesso, per compensare, di’ qualcosa buona di te”. E lui: “Ma, sì, … io ho anche questa qualità”, e poco a poco lo ha aiutato ad andare avanti, a leggere bene la propria vita, sia le cose brutte sia le cose buone. Dobbiamo leggere la nostra vita, e così vediamo le cose che non sono buone e anche le cose buone che Dio semina in noi».
Questo esercizio del “raccontarsi” la propria vita, ha proseguito, «consente anche di cogliere sfumature e dettagli importanti, che possono rivelarsi aiuti preziosi fino a quel momento rimasti nascosti. Per esempio, una lettura, un servizio, un incontro, a prima vista ritenuti cose di poca importanza, nel tempo successivo trasmettono una pace interiore, trasmettono la gioia di vivere e suggeriscono ulteriori iniziative di bene. Fermarsi e riconoscere questo è indispensabile». Perché «il bene è nascosto; è silenzioso, richiede uno scavo lento e continuo. Perché lo stile di Dio è discreto: a Dio piace andare nascosto, non si impone; è come l’aria che respiriamo, non la vediamo ma ci fa vivere, e ce ne accorgiamo solo quando ci viene a mancare».
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