Beepers che esplodono nelle tasche di membri di Hezbollah in Libia e Siria: morti, migliaia di feriti in un nuovo “modo” della guerra, inimmaginabile. Ucraina e Russia che macinano ogni giorno altre centinaia di caduti. La Ue autorizza Kiev a usare le sue armi contro Mosca. Inevitabile? Ma è come avvertire le esplosioni di un fronte più vicino.
Eppure, in questa ampia angoscia si fa largo nei pensieri la storia di quel sobborgo di Parma, piccolo paese in pace. Perché è come se missili e droni fossero minacce da fuori, e la tragedia di Traversetolo invece ci minacciasse da dentro. Appena dopo la strage di Paderno Dugnano; e mesi fa Giulia Cecchettin, e prima l’altra Giulia, madre, assassinata dal compagno con il suo bambino nel grembo. E tutti erano ragazzi normali: studenti, bravi figli, o un barista sorridente, nel cuore di Milano.
Tutti erano bravissimi ragazzi. Anche Chiara lo era, a Traversetolo. Le mamme le affidavano i bambini, all’oratorio le volevano bene. Un altro mondo sereno andato in frantumi. Quei due piccoli corpi, lo sbalordimento del paese, la confessione: «Sono stata io». Per due volte, senza che nessuno, incredibilmente, vedesse. Senza che lei tradisse niente. O forse la sua faccia di ragazza perfetta era una maschera che non si sapeva più togliere?
Non un bambino, ma due. Paderno Dugnano ci ha sconvolti, ma la vicenda di Traversetolo fa quasi più male. Una madre ha chiuso in sé, in poche ore, la vita e la morte. Di due figli. «Ogni donna deve sapere che può partorire nel completo anonimato», ha ricordato un inquirente. Personalmente dubito che la questione sia questa. Chi cerca sul Web l’ossitocina per indurre il secondo parto non sembra un’ignara ragazzina. A 14 anni oggi le adolescenti sanno della pillola del giorno dopo. Abortire è legale, anzi, lo chiamano “diritto”. Se Chiara si fosse decisa prima sarebbe stata per tutti una cosa “regolare”. Comune. Invece, dare alla luce e lasciare che il bambino muoia, poi in fretta fare le valigie per New York: stiamo parlando di altro, di qualcosa di oscuro, che spaventa.
Quei bambini seppelliti in giardino. Davanti a casa. Quasi che la madre volesse, morti, tenerseli accanto. Non sarebbe stato più semplice gettarli in un fiume? No. I bambini sono in giardino. In questa contraddizione allucinante sembra affiorare la malattia mentale. E tuttavia la donna che dà la vita e la toglie è un’idea che turba il sangue: è Medea, è un mito arcaico, eppure è nell’oggi, e chatta sul Web.
Questo buio di ragazzi normali ci lascia smarriti. Certo, pochissimi, su milioni. Però che sequenza, in pochi mesi. Noi non capiamo. Forse nemmeno Chiara e Riccardo e gli altri capiscono davvero, forse solo Dio conosce i loro labirinti interiori. Tragedie così ci paiono però quasi il segno di una mutazione, di una metamorfosi che ci traversa. E proprio questo sgomenta: se la persona più “normale” è capace di questo, come ci si può fidare?
Ma tutto il nostro vivere è, sempre, inesorabilmente, un atto di reciproca fiducia. L’autista del bus, le maestre dei figli, gli operai dell’acquedotto comunale, i medici, a quanti ogni mattina mettiamo in mano la vita?
Fidarsi dell’altro è l’architrave del nostro vivere insieme. Il dubbio che sottilmente comincia a sfiorarci, è un terribile nemico. Fidarsi, volere bene, costruire, sperare anche dentro alle ombre, questo ci è chiesto: non cedere, non sbarrare le porte. Non lasciare che ci roda, quel tarlo. “Non abbiate paura”, gridò sul sagrato di San Pietro molti anni fa un Papa. Andate a risentirlo, a rivedere la sua faccia da leone buono. La profezia di un santo è anche per noi oggi, in ogni tipo di ombra: certi comunque di un Dio entrato nella notte del Sabato, e da quella notte infinita tornato.
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