QUESTIONE DI EREDITÀ
Ciò che mi consola, in un disordine che sfiora la demenza, è il ricordo di mio padre. Perdeva tutto. Al mattino alle sette si levava il suo primo lamento: «Le sigarette! Dove sono finite le mie sigarette?». E tutti a cercare, affannosamente.
Certe cose però mio padre le perdeva per sempre, come cadute in un buco nero. Cravatte, chiavi dell'auto, ingoiate nel nulla. Cercammo a lungo invano un suo paio di occhiali. Li ritrovammo sei mesi dopo, con le lenti rotte, quando riemersero dal ghiaccio del freezer, in cui lui li aveva lasciati.
Un simile caos, mi dico, è evidentemente ereditario. Forse i nostri cervelli pensano sempre ad altro da ciò che stanno facendo. O forse c'è un disguido fra i neuroni?
E adesso che i figli sono grandi, al mattino presto comincia a risuonare in casa il grido del secondo, Bernardo: «I miei occhiali, i miei occhiali, dannazione!» E io, che sono ancora a letto, allora penso a mio padre, e sorrido.