Sono passati dieci anni dal mio arrivo a Niamey. Dall'aprile del 2011 all'aprile del 2021, con lo stesso sole di allora, fedele a se stesso. Oggi, domenica, si registra una massima di 43 gradi in complicità con la stagione che, in questo mese, raggiunge di solito il picco del calore. Tanto per non perdere usi e costumi ormai consolidati, sono riprese le interruzioni mirate e intempestive nell'erogazione di energia elettrica in città. Una porzione di vita che facilita e invita a un primo sguardo retrospettivo del presente transito in questo spazio chiamato Sahel, nome di probabile origine araba che significa "riva, sponda". Una riva presume un mare, un fiume, un lago o comunque un corso d'acqua qualunque. C'è un mare, in effetti, che giustifica il nome, ma è di sabbia, di pietre e soprattutto di rocce, chiamato Sahara. Arrivare in un luogo da straniero, seppure invitato, significa anzitutto scoprirsi come un richiedente asilo tra gli altri. Volti, paesaggi, testo e contesto cospirano per richiamare alla mente ciò che si vorrebbe dimenticare sempre: fragili, vulnerabili e mendicanti. Le prime strade e i primi incontri fortuiti coi migranti e rifugiati, entrambi in cerca di parole e azioni autentiche. Le storie alla lunga si mescolano, eppure ognuna rimane come inchiodata nella memoria, ferita mai cicatrizzata del nostro tempo violento. Diallo torturato alla frontiera con la corrente elettrica, Mamadou che promette di tornare e poi ripartire perché, dice, che è meglio essere carcerati in Europa che liberi in Africa. Bertrand che vorrebbe andare in Algeria dopo essere stato spaventato dall'oceano Atlantico della Mauritania. Janet che perde il figlio nel mare dopo averlo cercato e ritrovato invano. Antony che passa qualche tempo in prigione e poi si impegna perché altri non ripetano i suoi errori. Anni di avventure, ritorni e partenze per un altrove che si immagina ricco di futuro e possibilità. E politiche dell'occidente europeo che si sono andate precisando con coerente e cinica spietatezza. Frontiere mobili che scendono dal mare Mediterraneo e solcano l'altro mare, quello di sabbia e di pietre per poi approdare sulla riva del Sahel, luogo tradizionale di transito per gli "esodanti". Non c'è voluto molto perché venissero definiti prima "avventurieri", poi "illegali", "clandestini" e infine niente meno che "criminali". Osano sfidare frontiere, documenti, trattati, convenzioni, accordi, contratti, sistemi di controllo e guerre di eliminazione dei poveri. Possono legittimamente essere annoverati tra i pochi "resistenti" nell'attuale sottomissione o schiavitù volontaria. Ci sono poi le chiese bruciate e ferite nel gennaio del 2015. All'epoca c'era "Charlie Hebdo" che, caricaturando il profeta dell'islam sotto la bandiera del "Siamo tutti Charlie", ha offerto il pretesto ad alcuni per distruggere quanto costruito con anni di tenace dialogo nel Paese. La ferita non si è mai rimarginata e anzi si è trasformata in aperta persecuzione anche col rapimento dell'amico padre Pierluigi Maccalli. Il tutto mentre le comunità cristiane della zona hanno visto gradualmente ridursi gli spazi di libertà e solo con la paziente e antica saggezza contadina sanno far sopravvivere ciò che da senso alla loro vita. Hanno financo minato una pacifica zona di transito pedonale. Un atto di intimidazione, simbolo della follia violenta di oggi. Infine c'è soprattutto e dappertutto lei. Presente, insistente, condiscendente, resiliente, nomade, pervasiva, coerente col suo eterno colore: la sabbia. Proprio lei semplicemente, costituisce e modella tutto ciò che pretende fondarsi senza di lei: la politica, le elezioni presidenziali, la giustizia, la vita sociale, i matrimoni, le relazioni umane e le amicizie, le ideologie, i programmi scolastici, i piani di aggiustamento strutturale, i mezzi di comunicazioni, i partiti, la società civile e le religioni. Solo sabbia che il vento porta dove e come crede e che poi trasforma in polvere per insediarsi dove non è invitata. Inutile combatterla o tentare di ignorarla. Ecco: sono passati dieci anni, anch'essi di sabbia. Meglio farsela amica e imparare da lei, umile, silenziosa e sovversiva.
Niamey, 11 aprile 2021