Lo sfogo di Ibrahimovic dopo la figuraccia di Londra non è un episodio fugace ma un richiamo alla storia del calcio: non c'è grande squadra senza un grande protagonista che oltre ai piedi ci metta la testa, il cuore, il carattere; quello che da sempre io chiamo l'allenatore in campo, il traduttore delle volontà del tecnico panchinaro: il giocatore che in un attimo muove le pedine, suggerisce un avanzamento, un arretramento, un passo tattico imprevisto. Se fate un giro nella memoria vi verranno alla mente - fra i tanti - Rivera, Picchi, Bulgarelli, Platini, Maradona, anche Giannini e altri “motori” ormai in via d'estinzione. Dopo averlo visto nell'ultima esibizione di Champions, vien facile da sottolineare il peso del solista Messi nell'Orchestra Barcellona, e tuttavia un'osservazione più attenta vi rivela che senza Xavi nè Iniesta - i "portavoce" di Guardiola - non esisterebbe un tal miracolo calcistico. Richiamandoci a Ibra, va precisato che il suo limite è quello di saper dire certe cose a giuochi fatti, ai giornalisti, mentre i campioni cui mi riferisco operavano in diretta. Oggi non ce n'è più, forse per gelosia o incapacità dei tecnici ma anche per pura carenza di leader. L'Inter senza la testa di Cambiasso decade a livello provinciale, il Napoli si salva per l'attivismo di Campagnaro, Gargano e Lavezzi, una mente per reparto. La Roma non ha ancora trovato i "traduttori" delle idee di Luis Enrique che sembrano spesso strampalate, la Lazio vive (bene) delle improvvisazioni di un Reja diventato avventuroso con l'età; l'unica formazione che si muove con stupefacente coralità è l'Udinese del maestro Guidolin, oggi il Migliore. Ed eccoci alla Juve, la Grande Incompiuta. Quella vista a Bologna e negli altri dodici pareggi - sempre più simili ad altrettante sconfitte - ha perduto l'iniziale illusoria autorevolezza di Marchisio e Antonio Conte è rimasto solo: solo con la sua visione di un calcio dalla forte intensità atletica e emozionale, solo con le trame di gioco che deve dipanare con la personale fantasia senza avere referenti nei reparti, soprattutto in attacco. Ma come? - direte - Non c'è Pirlo?. Pirlo è grande, oggi il più grande, ottimo direttore d'orchestra a centrocampo, non architetto di un gioco che ha fortemente impressionato soprattutto per potenza fisica: ha una visione fin magica del gioco ma non incide nei momenti di depressione, vien quasi da dire che sembra un Baggio senza gol, perchè neppure il Codino aveva la spinta dell'animatore; ritorno a Platini per spiegare meglio la potenza del leader a tutto tondo. Questa edizione riveduta e corretta dell'antico calcio atletico rappresenta i limiti “da scudetto” della squadra bianconera, sempre più costretta a cercare - per proseguire la sua caccia al sogno - colpi felici come il bellissimo pallonetto-gol del ritrovato Vucinic, anarchico di qualità, o ritorni di fiamma secondo lo spirito garibaldino di Conte, a sua volta frenato da una “pareggite” che minaccia - mal celata dal record di una inutile imbattibilità - l'ora funesta della “sconfittite”.