Ginevra Bompiani, scrittrice (Le specie del sonno, L'attesa) ed editrice (“nottetempo”, una delle più vive tra le piccole case editrici, che lei ha lasciato da poco ma che continuerà la sua attività in buone mani e passerà da Roma a Milano) ha pubblicato da poco il suo libro forse più bello, Mela zeta. Il titolo viene dal linguaggio recente propostoci o impostoci dai computer, e significa «tornare indietro di un passo». È anche un'interrogazione su ciò che abbiamo vissuto e ci ha cambiato, ed è più inquietante che consolatoria, nella ricerca del punto di non ritorno, di svolta, che in questa raccolta di ritratti di persone conosciute e amate – trattandosi dei ricordi di una intellettuale, si tratta di personaggi spesso molto noti – prende però l'avvio da un'esperienza più forte delle altre, dal confronto con una tragedia quale è stata la guerra nella ex Jugoslavia. Sono il dolore degli altri, l'umana crudeltà, l'insensatezza della storia che permettono all'autrice una chiarezza maggiore su se stessa, da «miracolata nella lingua», liberata dal superfluo e dall'esteriore, dalla letteratura fine a se stessa, senza carne e sangue e senza ricerca del necessario e del vero. È questo a rendere più limpido e utile il ricordo non tanto di ciò che si è stati ma di ciò che si è conosciuto e di coloro che abbiamo avuto amici e nelle cui convinzioni abbiamo potuto ritrovarci o da cui ci siamo sentiti provocati, e che erano spesso migliori o più lucidi di noi. Tra i personaggi più esigenti che compaiono nel libro ci sono la Morante e la Ortese, José Bergamin e Manganelli, Pasolini e la Bachmann e altri ancora, ma non sono figurine da manuali scolastici o da pettegolezzi giornalistici, sono persone vive e talora contraddittorie, sempre però esigenti nei confronti di se stessi e del mondo. Sono morti, non ci sono più, e da questo viene il rimorso dei nostri errori anche nel modo in cui li abbiamo vissuti, delle occasioni mancate, delle chiarificazioni che non ci sono state, di ciò che avrebbe potuto essere. Ed è questa forse la chiave più autentica di questo bel libro, quella del nostro legame con loro, con i morti, che fa pensare al racconto sempre incandescente di Joyce che si chiama appunto I morti, nel ricordo delle persone che più hanno chiesto a se stessi e alla propria vocazione – non necessariamente scrittori e artisti, come è ovvio, anche se qui è di loro che si parla. Con l'arrivo dell'anno nuovo si pensa anche, purtroppo, alle persone che ci hanno lasciato più di recente, e alle riflessioni di Ginevra Bompiani vengono allora da aggiungere quelle sui nostri morti, su cosa abbiamo perduto.