Quello sguardo dall'alto che mostra una Milano nuova
Diceva lo scrittore francese Marcel Proust: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi». E osservare da punti di vista diversi, cambiare prospettiva. È quello che invita a fare Roberta Cordani nel volume Milano dall’alto. Sguardi sulla città (Celip, pagine 232, euro 70) con oltre 400 immagini di molti fotografi, tra cui Mario De Biasi (ma anche Andrea Cherchi, Stefano Gusmeroli e Franco Papetti) e le narrazioni di 50 autori che condividono le loro visioni. Osservando, se non “volando” con lo sguardo, dalla Milano che cresce in verticale a quanto di inedito c’è proprio lì sotto. «Scoprire Milano dall’alto - racconta Cordani -: un panorama dagli ultimi piani di famosi grattacieli, un cortile segreto dal piano nobile di una dimora storica, una piccola oasi fiorita dalle finestre di una villetta dei primi del Novecento. Vedere dalle terrazze del Duomo gli edifici del centro svettare tra le guglie. Spesso quando i tramonti colorano il cielo, lo incupiscono, fanno brillare l’acqua dei Navigli e riempiono i grattacieli di luci, di riflessi che accendono e disegnano la silhouette della città». Milano che si mostra in prospettive «speciali e inusuali, spettacolari riprese aeree. Fotografie da tetti, campanili, terrazzi, da rooftop di alberghi e finestre di luoghi abitati, o indicati, dai tanti milanesi che ci hanno accompagnato fin lassù». E sono proprio loro - da Ferruccio De Bortoli a Stefano Boeri, da Arnaldo Pomodoro a Carlo Feltrinelli e tanti altri a raccontare il proprio «sguardo sulla città», un’emozione, un ricordo, da cui nascono riflessioni su come è cambiata nel tempo, sulle radici e sul futuro. «Dall’alto gli occhi spaziano rasserenandosi, si meravigliano e s’incuriosiscono davanti all’inaspettato, lo sguardo ne è arricchito - riprende l’autrice -. Così riusciamo ad “ascoltare” la città, a vederla meglio, e ci sentiamo ancora di più nel cuore della sua vitalità».
Una Milano «molteplice», «eclettica» e «magica» , come - solo per citare qualche immagine - la vista delle corti del Castello Sforzesco, o Porta Venezia da Casa Rasini, piazza Meda dalla sede di Bpm, lo skyline di palazzi e montagne dalle torri di UniCredit o Generali, o da quella Liberty della Velasca, le visioni aeree di San Siro e della Stazione Centrale, le “utopie” dell’iconica Fondazione Feltrinelli o la sorpresa dei cortili di Palazzo Diotti, sede della Prefettura. Con lo stesso stupore di Stendhal mentre si addentrava a Palazzo Borromeo d’Adda: «Entrai in un magnifico cortile, scesi da cavallo e molto meravigliato salii per una superba scalinata... Ero affascinato, era la prima volta che l’architettura mi faceva questo effetto».
Sulla terrazza del Duomo, la grande nevicata del 1985 - © Mario De Biasi
E poi c’è lei, certo, la Madonnina. Una certezza. Il simbolo Alto di Milano. Dal «suo inconfondibile fascino, cristiano e laico», per dirla con De Bortoli nel richiamare i milanesi ad «alzare lo sguardo». Le foto della statua in rame dorato issata sulla guglia più alta del Duomo nel 1774 sono dello storico fotografo di Epoca, Mario De Biasi (riprese da un altro prezioso volume Celip, La Madonnina di Milano, 2003). La Madonnina nella luce del tramonto e sotto la grande nevicata del 1985. «È stata una vera arrampicata, prima ero salito sulla Galleria. Ma dal tetto del Duomo fu davvero magico - raccontava De Biasi -. C’era la neve alta sessanta centimetri, non si vedevano le guglie, con le mani ho fatto un buco nel muro di neve e ho scattato le foto riprendendo le guglie, le terrazze. Tutti pensano che in primo piano ci siano delle nubi. Da allora non ha più nevicato così». De Biasi - lo ricorda la figlia Silvia - ha sempre cercato «un punto alto da cui vedere»: era «l’uomo che voleva essere un drone». Per cercare una prospettiva diversa. Con occhi nuovi. Su Milano e non solo.
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