«L'albero degli zoccoli». Quelle piccole cose che spiegano le grandi questioni
Una foto di scena del film "L'albero degli zoccoli" (1977)
Sono le cose piccole che spiegano le più grandi. L'acqua, per esempio. Nelle campagne della Bergamasca è dappertutto: scorre nelle rogge, sgorga dai pozzi, vien giù dal cielo in forma di pioggia oppure, quando il freddo si fa sentire, diventa neve, fiòca imbiancando il paesaggio e rendendo ancora più grama la vita di uomini e bestie. L'acqua è evidente e a volte prepotente, ma nasconde un segreto minuscolo, a un passo dall'invisibile. In cascina nessuno lo conosce, tranne Mènec, uno dei figli del Batistì. Perché Mènec va a scuola e lì il maestro gli ha insegnato che in una sola goccia d'acqua ci sono dentro tanti "bestiolini piccinini piccinini". Suo padre, che ha la parlantina sciolta e sa come tenere incantati gli altri quando racconta una favola, crede che siano i pesci, ma Mènec, con la sua vocina infreddolita (è appena rientrato e adesso sta mangiando la sua minestra davanti al camino) gli spiega che no, quei "bestiolini" lì sono speciali. Che nemmeno li vedi, se non hai la macchina apposta. È grande il mondo, fuori dalla cascina. E ce ne sono di cose da imparare, commenta Batistì.
In ogni film c'è una scena che più delle altre ha la capacità di rievocare il mondo rappresentato dal regista. Per L'albero degli zoccoli, il capolavoro di Ermanno Olmi, una di queste scene è senz'altro il dialogo tra Batistì e Mènec, interpretati rispettivamente da Luigi Ornaghi e dal giovanissimo, indimenticabile Omar Brignoli. Poche parole, scandite in stretta parlata bergamasca da due attori non professionisti, pazientemente ricercati da Olmi con l'intento di far rivivere il tempo perduto della civiltà contadina. Il cuore della storia sono loro, il padre e il figlio, l'orgoglio per il bambino mandato a studiare e l'angoscia per quello zoccolo spezzato da Mènec sulla strada del ritorno. Fin dal maestro a piedi scalzi non si può andare e allora Batistì, che non ha mai rubato in vita sua, abbatte uno degli ontani del padrone e ne ricava una calzatura nuova per il figlio. Ma il padrone ha occhi dappertutto, il padrone se ne accorge e il padrone non perdona. Batistì e tutta la famiglia vengono cacciati dalla cascina, mentre gli altri contadini si rintanano in casa chiudendo gli scuri, perché non sta bene star lì a guardare le disgrazie della gente.
Ancora oggi il regista racconta volentieri di come quel finale non piacque ad Alberto Moravia: i poveri si sarebbero dovuti ribellare, sosteneva lo scrittore romano, L'albero degli zoccoli era un paternalistico invito alla sottomissione. Il regista, che da quei poveri discendeva, replicò sostenendo che forse sarebbe stato il caso di far recensire ai contadini i libri di Moravia. Altro che sottomissione, infatti. Nello sguardo di Batistì c'è tutta la pazienza e la sapienza di un cristianesimo tanto istintivo quanto nutrito da una devozione schietta, efficace nella sua essenzialità. Si tratta dello stesso sentimento che guida il corteggiamento e le nozze tra l'impacciato Stefano e la bella Maddalena (poche sequenze che riscrivono, in miniatura, l'intera vicenda dei Promessi sposi) e che affiora, per contrasto, perfino dal malcontento e dalla smania del Finard, il più disperato e fragile tra i contadini. La piccola comunità ha un pastore, il don Carlo impersonato da Carmelo Silva, che ha particolare cura di una vedova simile a quella che si incontra nella parabola del Vangelo. Lei, la vedova Runk (Teresa Brescianini), è sempre pronta a donare un po' di pane per chi è ancora più bisognoso di lei. Taciturna, tanto per cambiare, ma così prossima alla santità da meritare il miracolo che mette in salvo la sua unica, preziosissima mucca. Un prodigio che passa attraverso l'acqua, ancora una volta, che è poi la madre di tutte le cose, delle più grandi come delle più piccole.