Esteban Chaves, El Colibrì in virtù dei sui 164 cm di altezza e 54 kg di peso, è senza nessun dubbio il personaggio rivelazione della edizione numero 99 del Giro d'Italia, terminato domenica a Torino. Vincenzo Nibali, Lo Squalo dal cuore gigantesco, ha vinto quando ormai sembrava impossibile, grazie a due imprese pazzesche nelle ultime tappe di montagna. Tuttavia il mondo intero si è accorto di questo scricciolo colombiano che nel 2013, dopo una tremenda caduta al Trofeo Laigueglia, sembrava destinato a perdere l'uso di un braccio e a chiudere per sempre con il ciclismo.Chaves è un uomo pieno di sogni, ha raccontato suo padre. Anzi, per la precisione lo ha definito: «cumplidor de sueños», uno che i sogni li realizza. A quattordici anni diceva di sognare di vincere il Tour de France, per ora è riuscito a trasformare un secondo posto in una vittoria, grazie al suo fairplay, alle sue parole di rispetto per il vincitore (proprio i genitori di Chaves sono stati i primi ad abbracciare e a congratularsi con Nibali), all'equilibrio e alla maturità dimostrata in gara come sul podio. «Ora che sono arrivato secondo, so che posso vincere» dice El colibrì fra una citazione di Gabriel Garcia Marquez e le considerazioni su papa Francesco, che definisce «un rivoluzionario». Ama il suo Paese e non solo ben lo rappresenta da sportivo, ma lo difende da chi, senza sapere, considera la Colombia solo un posto violento.Se il ciclismo ha dovuto dribblare un po' di problemi di immagine nel recente passato, questo ragazzo della faccia per bene quell'immagine la sta meravigliosamente riscattando. Che bello sarebbe vederlo realizzare quel sogno di quattordicenne (sarebbe il primo colombiano della storia) trionfando sugli Champs-Elysées. Che meraviglia se Lo Squalo e Il Colibrì duellassero ad agosto sul durissimo circuito di Rio de Janeiro per un alloro olimpico. Entrambi fortissimi in salita, entrambi straordinari, al limite dell'incoscienza, in discesa, dove vedono quelle traiettorie e quegli spazi che sono preclusi agli atleti "normali" e che solo i grandi campioni possono vedere. Il rispetto che si sono tributati (prima, durante e dopo il Giro)fa riconciliare con l'idea della possibile esistenza di uno sport che metta insieme talento e fatica, agonismo e fairplay, sogni e tenacia. Lo Squalo e il Colibrì hanno scaldato i cuori dei tifosi di ciclismo e, di nuovo, di tutti gli sportivi italiani che hanno ricominciato a trovare nel ciclismo quegli eroi smarriti da tempo. Li aspettiamo in cima a qualche montagna l'anno prossimo, per la centesima edizione del Giro d'Italia che si preannuncia indimenticabile. Sono i campioni a fare grande uno sport, non il contrario. Uno sport storico, forte di un popolo capace di accalcarsi sul ciglio della strada aspettando ore pur di veder passare per pochi secondi uno stormo colorato di atleti, uno sport così letterario (hanno scritto del Giro, fra tanti intellettuali, le penne raffinate di Dino Buzzati, Vasco Pratolini, Indro Montanelli) ha forse trovato una coppia di campioni di quelli la cui magnitudine riluce proporzionale alla loro capacità di far sognare la gente.