Quella sete insaziabile di responsabilità in politica
Secondo la filosofia della politica, chi assume un ruolo istituzionale dovrebbe agire illuminato da una stella polare: la responsabilità, dal latino responsus, ovvero impegnarsi a rispondere alla collettività delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano. Non a caso, la traduzione tedesca verantwortung vuol dire onere, carico, peso.
Peccato che in Italia il peso della responsabilità diventi – in questa tragicommedia di Roma, così come nella gran parte delle situazioni critiche sul suolo nazionale – una zavorra fastidiosa e anacronistica che impedisce di inseguire il consenso a breve termine, non consente di denunciare l'inerzia altrui (per allontanare il rischio che si parli della propria), esclude soluzioni facili come la proroga perenne o la transitorietà continua. Al punto che la via della responsabilità viene sistematicamente scartata, a prescindere dal colore politico o dalla quantità di esperienza politica accumulata.
E così i cittadini romani, indignati e frastornati, non sanno più a quale santo votarsi. Forse saranno costretti a riscoprire i paganissimi riti propiziatori della pioggia, che comunque non potrebbero evitare la dispersione di quasi metà dell'acqua che viaggia attraverso i tubi della Capitale.
O forse invocheranno la fine di un martirio chiamato "politica" e inizieranno a sperimentare forme di auto-organizzazione su larga scala, sulla scorta di ciò che già stanno facendo per supplire ai clamorosi disservizi dell'Ama. Ma neanche il proliferare delle isole civiche potrà evitare, dopo il paradossale danno di immagine e di qualità della vita della Capitale che solo in extremis è riuscita a evitare il razionamento dell'acqua, la beffa del rimpallo di responsabilità tra i diversi livello di governo. Perché chi non riesce a decidere e ad assumersi responsabilità dovrebbe avere almeno il pudore del silenzio. Ma è un pudore nobile e antico, che non va più di moda.