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Quella scuola di pace a Bujumbura da sostenere

Claudio Monici domenica 21 ottobre 2018
La sparatoria cominciava sempre oltre le baracche della periferia, tra la boscaglia e la collina. Un primo colpo d'arma da fuoco, seguito da una lunga sventagliata di mitraglia. Quando lo scontro diventava violento, aveva inizio la sequenza dei mortai. E il panico si impadroniva della gente. Pennacchi di fumo, polvere e tocchi di lamiere sporcavano il cielo. Mentre soldati dal basco rosso e schiena bassa si irradiavano nei vicoli stretti, tra le urla e i pianti di donne e bambini.
Poi, così come tutto era cominciato, tutto finiva. Militari, banditi o ribelli, esplosioni e spari si scioglievano nel niente, come accade ai fantasmi quando si dissolvono all'alba, all'apparire dei primi raggi del sole. Con le case che ancora ardevano, alla periferia di Bujumbura, la gente, superato il panico del caos armato, riprendeva le attività interrotte improvvisamente; il mercato all'aperto e i chioschi del cibo cotto sulla strada si riappropriavano della quotidiana confusione, in una sinfonia di suoni e rumori.
Burundi, all'ultimo posto nella lista delle nazioni più povere e corrotte al mondo. Paese disseminato di fosse comuni e cimiteri senza nomi sulle croci, dove il cielo e la terra si incontrano nel sangue del suo popolo hutu, tutsi e twa pigmei. Un Paese, grande quanto il Piemonte, dal 1962 in stato di ininterrotta violenza. Eppure qui esiste una presenza di pace che nessuno si aspetterebbe di trovare in un Paese pervaso dalla violenza e dal sangue. Un luogo che insegna la pace. Una testimonianza che aggrega i giovani di diverse etnie, fedi, tendenze politiche e condizioni sociali. Un casa che insegna a diventare uomini e donne del futuro.
L'oasi si chiama "Centre jeunes Kamenge". Ho avuto l'occasione e la fortuna di visitarla spesso, in passato. Andavo a trovare un missionario coraggioso, certo come tanti altri in quella difficile e pericolosa vita africana. Il missionario saveriano padre Claudio Marano e i suoi 50mila ragazzi e ragazze. Non avete letto male. Dall'anno della fondazione, 1993, in piena guerra civile, il Centro giovanile del quartiere Kamenge, alternativa didattica, culturale e sportiva alla violenza dilagante, ha "tesserato" migliaia di giovani burundesi desiderosi di crescere uniti e non segnati dall'odio etnico che ha scheggiato la vita del loro Paese.
Un luogo di rare opportunità. Come la ricca biblioteca, fornita di testi universitari irreperibili altrimenti. E non solo nelle già povere università statali, ma in tutto il Burundi e nelle nazioni confinanti.
«Non c'è niente di più bello che vivere insieme», ama ripetere padre Claudio, friulano d'origine, oggi impegnato in una nuova missione saveriana, tutta italiana, a Salerno. Ma il "Centro", da un paio d'anni gestito dalla Diocesi di Bujumbura, è come un seme. Per continuare a crescere sano e prosperoso, ha bisogno di nutrimento. Padre Claudio, che dall'Italia segue le sorti della sua creatura, scrive: «Vi raggiungo per stancarvi ancora. Mi trovo in una situazione piuttosto penosa. Il Centro mi chiede delle cose urgenti, se possibile. Sono gli abbonamenti a 25 riviste francesi e aiutare delle situazioni molto difficili di alcuni giovani. Se potete...».
C'è solo un modo capace di impedire al grilletto di un'arma da fuoco di sparare il suo proiettile per uccidere il futuro: affamare l'odio, nutrendo il bisogno. Anche regalando l'abbonamento a una rivista. E magari pure qualcosina di più.