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Quella nostra incapacità cronica di respirare la vita

Lisa Ginzburg venerdì 8 marzo 2024
«I can’t breathe» disse George Floyd negli otto minuti della sua agonia, il petto schiacciato dai poliziotti americani che barbaramente lo hanno ucciso. «Non posso respirare»: quella morte orribile accadeva poche settimane prima della comparsa del Covid, ovvero prima di quel lungo tempo della pandemia durante il quale il respiro – impedito, ostruito, impossibile - è stato al centro
della nostra enorme paura diffusa in tutto il mondo. Dell’atto del respiro, della centralità del soffio che ci tiene in vita e dentro alla vita, Marielle Macé parla in un bellissimo piccolo libro che è un po’ come un manuale, un viatico per riflettere e tentare di abitare un po’ meglio questo tempo strano in cui ci troviamo a barcamenarci. Respirare (traduzione di Matteo Martelli, Contrasto, pagine 89, euro 15) è un testo filosofico, ma anche un poema. Attraverso parole tutte calibrate e necessarie, l’autrice tenta di ridare ossigeno a una condizione collettiva di apnea. Abbiamo il fiato sospeso, il fiato corto, le nostre espirazioni soprattutto sono sempre convulse, mai complete. L’eccesso di comunicazione e uno stato di ininterrotta apprensione rendono sincopato il nostro ossigenarci, il flusso del nostro fiato. Siamo in ansia, e prima spia ne è il nostro respiro, quasi mai disteso, completo. Lei, la scrittrice, in passato asmatica, conosce bene «un vago amore per tutto ciò che dà immediatamente aria: l’acqua, il mare aperto, la calma, le partenze, i ritorni, la fraternità, la parola vera». Il suo ragionamento è limpido e per l’appunto arioso, nonostante con severa lucidità si soffermi sulle sofferenze e le ineguaglianze che pertengono al respiro. Sì, perché disporre di fiato è privilegio sociale e anche razziale: se «respiro è ‘forma animale’ dell’essere vivi» , le patologie polmonari dovute a inquinamento e altre tossicità affliggono sempre i meno abbienti. Il respiro sincopato è anche spia di un difetto di osmosi tra il dentro e il fuori. Relazioni ostruite tra noi e gli altri, che vuol dire, anche, tra i nostri spazi domestici e quelli del grande mondo. Se il Covid ha segnato «la fine dell’innocenza respiratoria, se mai c’è stata», ora a essersi trasformata è quell’osmosi che dovrebbe renderci tutti uniti nella condivisione dello “pneuma” del mondo, e che al contrario segna blocchi, diseguaglianze, disarmonie. Blocchiamo il flusso di ogni fiato e ci chiudiamo, al prossimo, tanto quanto alle atmosfere dell’esterno. Anzi la simmetria dell’osmosi pare avere invertito la sua direzione: non si tratta tanto di chiudere le nostre case alle influenze esterne, scrive Marielle Macé, piuttosto di evitare che il nostro interno possa alterare l’esterno. Siamo fattori inquinanti per la Natura, siamo con i nostri respiri corti e sincopati, un elemento di disturbo alterante per l’armonia del respiro del mondo, per il suo ritmo spontaneamente regolare. Sino a quando non ritroveremo un corso tranquillo di inspirazione ed espirazione, sino a quando il nostro fiato non tornerà in sintonia col naturale contrarsi e dilatarsi del tempo, di ogni ritmo, l’osmosi con l’esterno è non solo alterata: anche potenzialmente dannosa, è fattore di rischio. Leggere Respirare è un dono, da celebrare rallentando, provando a farlo come accade nel leggere questo piccolo libro viatico. © riproduzione riservata