Quella casa sulle Dolomiti, un anticipo di Paradiso
Nelle camere letti monumentali, sommersi da candidi piumini. La gioia, per me bambina, era dormire in quella morbidezza accanto a mia madre, e sentire il suo profumo. Talvolta però di notte, dopo che mia sorella era morta, mi svegliavo e mi pareva che la mamma non respirasse bene. Allora restavo a sorvegliare il sollevarsi del suo petto, mentre una paura mi si allargava, come un lago, dentro - una paura che non mi avrebbe più abbandonato. Nel grande specchio della cassettiera si rifletteva la mia faccia di bambina, mentre mia sorella come un’ancella devota mi annodava la treccia; e a ogni nodo io strillavo, piccola regina prepotente. Quella casa è rimasta il simbolo
della mia vita più bella - e poi, della più abbandonata. È un topos vivo della memoria. Incubi, spesso, ma anche brevi frames felici. Questa notte dunque ho sognato che dormivo con mia madre nel gran letto con i candidi piumini, ma ci svegliava un grido acuto di donna: un grido lacerante, interminabile. Allora spaventate noi sbarravamo la porta, nel buio, indifese. Passi nel corridoio: poi, nessuno arrivava. (Mi resta però in testa, quel grido straziante. Come vero, come se una donna, stanotte, davvero così avesse gridato. Dove, e chi, e vicino, o lontano?) Da tutta la vita faccio sogni oscuri o terribili, e mi domando chi è il regista di queste fiabe misteriose. Quasi sempre, però, nel sogno torno a quella casa sotto le Tofane, come a una matrice buona, dove la vita era come l’acqua trasparente del lavatoio. Non ho più il coraggio di andare laggiù. Nemmeno di aprire Google Earth, mettere l’indirizzo, e magari scoprire che la mia casa non c’è più. Succederà. E sarò allora molto vecchia, e costretta a letto. E mi addormenterò, finalmente, per tornare in Dio. Ma se potessi, per un giorno solo, essere ancora bambina in quel fienile e in quei prati, ecco, ne sarei grata. Già quello sarebbe paradiso. E in questa speranza, mi accorgo, si dissolve la paura, mia costante compagna. © riproduzione riservata