Quella Baghdad cristiana sparpagliata dalla guerra
«Abana allazi fi assmawat... Salli li ajlina nahnu al kata'a». «Padre nostro che sei nei cieli... Prega per noi peccatori». Nonostante gravasse un sole bollente, monsignor Paul Dahdah, arcivescovo latino, finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo e guardare con un sorriso di speranza dalla finestra della sua residenza dove entrava lo schiamazzo e la gioia dei bambini della vicina scuola di san Giuseppe.
Dopo giorni di apprensione e angosciante attesa per una nuova guerra, monsignor Dahdah e altri patriarchi e religiosi delle chiese cristiane irachene avevano pregato insieme al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. L'uomo che con la sua mediazione aveva scongiurato il conflitto tra Stati Uniti e Iraq. Almeno per quel momento. Era il 1998 e, ricordo, anche a Baghdad si inaugurava l'anno dello Spirito Santo. Lo facevano i bambini che gremivano la chiesa di San Giorgio degli assiri, nel distribuire a tutto il quartiere ramoscelli d'olivo, simbolo di pace. La gioia era la festa delle bancarelle dei dolci e del Luna park. Con i festoni colorati ad abbellire vie, case e le ottanta chiese. E i ragazzi a corteggiare le ragazze.
Poi, però, scende il buio. Come una premonizione si avvera quello che monsignor Dahdah temeva e mi raccontava. La guerra colpisce con la luna nuova. Quando il cielo è nero pece. Piove dall'alto del cielo. Missili e aerei della coalizione Usa urlano, invisibili, tutto il loro potere distruttivo. La scomoda eredità irachena, passata dalle mani del presidente americano Bush padre, a quelle di Bill Clinton e poi ancora a un Bush figlio, trafigge e incrina l'armonia di pace e semplicità che aveva da sempre tenuto insieme i rapporti tra cristiani e musulmani.
Poi, solo quattro anni fa esplode anche la maledizione criminale del cosiddetto Stato islamico o Daesh e per il cristianesimo orientale caldeo, siro–cattolico, latino, armeno–cattolico, melchita, è un altro duro colpo alla sua sopravvivenza nella patria del cristianesimo delle origini. Chiesa missionaria che ha saputo camminare fino in Cina, dai tempi dell'apostolo Tommaso. La diaspora, oggi, sta dissanguando i cristiani iracheni. Sempre di più sono quelli che partono sparpagliandosi ovunque, ma non più in Medio oriente. Di monsignor Dahdah conservo il saluto profetico: «Pregate per noi».