Charlotte Salomon, straordinaria pittrice morta a ventisei anni ad Auschwitz nel 1943, era nata a Berlino in una ricca famiglia assimilata della borghesia ebraica. Nel 1939, i suoi mandarono Charlotte nella Francia del Sud dai suoi nonni materni, per salvarla. Là, venne a conoscenza del suicidio della madre, che le era stato tenuto nascosto dal padre e dalla matrigna, e che si ripeteva nelle generazioni fra le donne della famiglia. Mentre il nazismo e l'antisemitismo montavano, Charlotte dipingeva ogni giorno, per elaborare i lutti del presente e quelli che l'attendevano. Non ci sono dipinti del campo, naturalmente, ma ce n'è il presagio in alcuni dei suoi gouaches, nel rosso e bruno delle bandiere naziste. Sono più di ottocento straordinari acquerelli, una sorta di autobiografia per immagini che lei stessa intitola Vita o teatro?, riempita di parole che la fanno assomigliare ad un fumetto, conservata al Museo Ebraico di Amsterdam e riconosciuta dalla critica come un capolavoro. Sono un inno alla vita, la maggior parte pieni di colori sereni, di cielo, di mare, di luminosi autoritratti. Dopo l'occupazione, già sposata ed incinta di quattro mesi, Charlotte sarà deportata. Sarà subito avviata all'arrivo alla camera a gas.