Operare e lavorare pensando al “dopo di noi”, a coltivare, cioè, qualcosa da lasciare in eredità da consegnare a qualcuno che lo porti avanti a modo suo ma che sappia anche tenere lo sguardo verso colui che ha donato il frutto del proprio impegno. È così che il Vangelo c’insegna a operare in questo mondo; ed è così che operò san Bernardino Realino, al quale i leccesi si rivolsero poco prima della sua morte nel 1616 per chiedergli di continuare a proteggere la città anche dopo la morte. Realino sapeva che in questo modo avrebbe consegnato la sua eredità spirituale agli stessi abitanti della città, che l’avrebbero coltivata a modo loro, ma guardando sempre al patrono e continuando ad attingere al suo stile. D’altra parte il sacerdote gesuita, che aveva abbandonato la carriera pubblica per consacrarsi a Dio, per 42 anni si era fatto amico e compagno dei leccesi, diventando padre, maestro, testimone concreto del Vangelo in mezzo a loro. Nato a Carpi nel 1530, Realino era stato avviato agli studi in diritto civile e canonico, ricoprendo poi diversi “pubblici uffici”, approdando infine a Napoli, dove incontrò i Gesuiti. Decise così di lasciare tutto per entrare nella Compagnia di Gesù: nel 1567 fu ordinato prete, diventando maestro dei novizi, e nel 1574 arrivò a Lecce, dove creò e guidò un collegio, dedicandosi anche ai bisognosi. Morì a 86 anni ed è santo dal 1947.
Altri santi. San Lidano da Sezze, abate (1034-1118); beata Eugenia Joubert, religiosa (1876-1904).
Letture. Romano. 2Re 4,8-11.14-16; Sal 88; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42.
Ambrosiano. Gen 11,31.32b-12,5b; Sal 104 (105); Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62.
Bizantino. Eb 9,1-7; Mt 8,28-9,1.
t.me/santoavvenire