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Le piaghe di Cristo, le piaghe della fede

Alberto Ambrosio venerdì 17 aprile 2020

Siamo alla vigilia della domenica di Tommaso, che se non mette il dito non crede alla risurrezione di Cristo. È una pagina di Vangelo che ha segnato indelebilmente l’immaginario cristiano. Gesù ha ancora i segni delle piaghe della passione e della crocifissione quando si presenta ai suoi riuniti nel Cenacolo. Sono i segni eterni della Passione e morte, come a dire che anche l’eternità è stata toccata dall’evento terrestre: in Dio vi è tutto, anche i segni della Passione. Le piaghe potrebbero significare, in senso metaforico, quelle infisse nel cuore di Tommaso e della prima comunità credente. Si tratterebbe delle piaghe della fede, non le cinque piaghe della Chiesa di rosminiana memoria, ma dei segni che contraddistinguono la lotta tra credere e non credere.
L’antifona pasquale faceva cantare «morte e vita si sono battute in uno stupefacente duello» (mors et vita duello conflixere mirando). È il duello in Cristo per la vittoria nella risurrezione, ma è il duello nella vita nostra tra fede e incredulità. La vera piaga interiore, che si rimargina solo nel corso di una vita di costante concentrazione sul Dio vivente, è quella di una fede tentata dal cedere al materialismo della fede, alla pretesa che si deve vedere e si vuole toccare per credere per davvero. Eppure, se si vede e si tocca, non vi è più fede e non è più fede. La Lettera agli Ebrei, in modo scultoreo, afferma che «la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1).
La fede non rende visibile nulla, altrimenti non sarebbe tale. La fede, senza il motore della speranza incoraggiando a vedere più in là dei propri occhi, tentenna, e senza le opere, è morta. La ferita che Tommaso vuole toccare è la sua stessa piaga interiore di una fede che vuole vedere, che vuole toccare, che vuole insomma sfuggire alla vocazione primordiale di assentire senza vedere. Ricordo di un professore di teologia che riassumeva in modo mirabile i termini della questione, dicendo che la fede né vede né sente, la mistica non vede ma sente e solo il Paradiso, infine, vede e sente. L’esempio di Tommaso è lì per noi a ricordarci che la vera fede significa toccare alla propria piaga interiore di una fede che vuole vedere e toccare, quando essa sa, per prima, che non le compete né l’una né l’altra cosa.
Il mondo attuale soffre di questa stessa piaga, applicata non più alla fede, ma anche ad altri tipi di fede, come quella nella scienza. Vorremmo vedere immediatamente i risultati delle ricerche scientifiche sul coronavirus. Vorremmo toccare – anzi, comprare immediatamente – il vaccino. La prima reazione di tanti è stata di domandarsi perché non ci fosse già il vaccino. Nella società dell’abbondanza in cui c’è tutto di tutto, come è possibile che non esista ancora l’antidoto? Non c’è ancora un vaccino? La stessa dinamica si applica non solo alla fede, ma è alla fede che ritorna il merito di essere il modello. Si crede senza vedere e senza toccare, il resto lo fa la Vita.