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Quel che precede (e non vediamo) uno sbarco di migranti

Claudio Monici venerdì 14 ottobre 2016
È un esodo che si è fatto torrente umano, sempre più tumultuoso. Lo vediamo e sappiamo tutto: conosciamo da dove viene, da quali latitudini, da quali terre della provvisorietà sgorga. Le guerre che lo alimentano. Sappiamo che loro cercano un rifugio, una strada sicura nella vita. Affrontano l'oscurità della notte, senza mai avere la certezza di riuscire ad arrivare al calare del tramonto. Ma non sappiamo come chiudere il rubinetto di una geografia che non conosciamo più. Battono i denti per il freddo e si tengono la pancia per la fame, trangugiano acqua salata, sperando di non affogare. Conosciamo ogni singolo particolare del loro dramma: dove sono accampati, quanto pagano, quanti anni durerà, da dove sono salpati, chi li ha gettati a mare a sventagliate di mitraglia, come sono morti. Ma l'asta delle brutalità deve alzarsi sempre di più per rinnovare le nostre emozioni. E di quel momento che precede il tutto, il prima di adesso, sappiamo qualcosa?Eppure, in questo mondo, 24 ore su 24 tenuto sotto schiaffo dal "Grande fratello Internet", dove tutto c'è e tutto è connesso, non riusciamo ancora a sciogliere il nodo di che cosa innesca quel tumulto umano, per "aggiustare" in tempo quel minuto prima che precede la tempesta. Il Burundi è un esempio. Noi lo ricordiamo, per le sue vaste piantagioni, brillante del verde delle giovani foglie della pianta del tè, per la voglia dei giovani di vivere il loro presente, e per quell'affaccio d'abbaglio sul lago Tanganika, oltre che per la nostra seconda malaria. Ma questo piccolo cuore d'Africa è pressoché sconosciuto e nulla si sa. Troppo lontano? No, troppo inutili le sue "piccole" faccende. Allora rinfreschiamoci con quanto una voce, da tenere protetta, ci fa sapere da quel profondo, dal Paese più povero della terra.«La situazione è sempre più tragica. Morti, prigioni che si riempiono, sparizioni e torture. Violazione dei diritti dell'uomo ripetutamente denunciate dall'Onu. Intellettuali, politici, giornalisti, responsabili di progetti, associazioni che lavorano sui diritti dell'uomo, moltissimi giovani, sono dovuti scappare all'estero per salvarsi la vita. Eliminazione degli oppositori. Oltre 500 mila persone fuggite all'estero, dopo gli scontri scoppiati in seguito alla decisione del presidente Pierre Nkurunziza di autocertificarsi un terzo mandato. Mentre gruppi di ribelli sono sparsi in tutto il Paese. Crollo verticale dell'economia, e il triste primato del Paese più povero e più corrotto del mondo. In Burundi, 10 milioni di abitanti, una persona su quattro soffre e muore di fame. Europa e Stati Uniti hanno congelato tutti gli aiuti. Il presidente Nkurunziza vuole spostare la capitale a Gitega, perché Bujumbura non la controlla più. Da un anno e mezzo, ogni mese, almeno 100 persone vengono uccise: una vera guerra. Il Burundi vive da 55 anni di massacri, guerre e destabilizzazioni. Vuol dire che tutti i burundesi, che hanno una media di vita di 41 anni, arrivati a questa età, non hanno mai vissuto un giorno di pace, di democrazia. Le statistiche Onu parlano di 500.000 morti, in questi anni. Cifra molto poco reale: tutti concordano che sono almeno il doppio».Come dimenticandoci che ogni essere umano viene al mondo solo per una volta, i nostri sentimenti si smuovono e vengono scalfiti quasi solo quando sono colpiti dalle immagini. E ogni volta queste devono superare per intensità le precedenti. Altrimenti il buio dell'indifferenza resta impenetrabile. Perché, oggi, se non siamo investiti dalle immagini, come un pugno nello stomaco, il dramma non esiste. E foto di bambini annegati sulle spiagge di sabbia del Tanganika o di ospedali bombardati dagli aerei a Bujumbura, ancora non ci giungono da quel profondo cuore d'Africa dimenticata. Il messaggio giunto fino a noi da laggiù, la voce amica da tenere protetta, si concludeva con queste parole: «Continuiamo a tenere aperta la porta di Lampedusa, ma in Africa». Ma poi, sappiamo veramente dove si trova questo Continente?