Quarant’anni fa, il 2 novembre, la tragica morte di Pier Paolo Pasolini. Molte le iniziative per ricordare questa data, ma per chi Pasolini ha conosciuto e si è formato nei suoi anni in dialogo con la sua opera o confrontandosi con lui anche direttamente, e insomma "litigandoci", non sembrano convincenti. Da un lato, maggioritario, si assiste a un tentativo di riportare Pasolini in un ambito culturale tradizionale, molto da "società dello spettacolo", un personaggio e non un pensiero, perché il pensiero, da lui espresso in modi durissimi e senza alcuna ambiguità, è ancora urticante, provocatorio, non riconciliato. Dall’altro, minoritario, si assiste a una sorta di culto che si concentra sulla sua morte, vedendolo come vittima di un complotto terribile. A favorirlo ci sono le sue ultime opere, Salòe Petrolio, soprattutto Salò, che ci sembrò invero una dichiarazione di fine, di morte d’ogni speranza. Si tende a dimenticare, in tutto questo, che l’importanza maggiore tra le molteplici imprese di Pasolini, assunsero negli ultimi anni della sua vita (declinando la vitalità e novità delle opere) i suoi scritti polemici, i suoi dialoghi anche durissimi con noi tutti, sull’involuzione della nostra società da lui vista e sofferta anno dopo anno con progressiva disperazione. Pasolini ha visto molto acutamente dove stavamo andando e dove ci stava portando una società, un potere, che mirava (e c’è quasi completamente riuscito, soprattutto dopo la sua morte, negli ultimi decenni) al completo controllo sui corpi e sulle coscienze. È forse per questo che si cerca di esorcizzare questo pensiero, assai poco consolante, trasformando Pasolini in un artista come altri o in una specie di santo. Eppure i suoi scritti più utili (non parlo dei suoi film, un’opera straordinaria almeno fino a Teorema) restano gli interventi degli ultimi anni raccolti negli Scritti corsarie nelle Lettere luterane. Sono questi i moniti e le considerazioni che l’attuale società rimuove, che sembra non voler tollerare. Sono questi libri che consiglio di leggere a un giovane del "dopo Pasolini", quelli che possono essergli più utili anzi indispensabili, per poter procedere nella vita sapendo, non accettando.