Quei punti maiuscoli nella piccola-grande Italia
La pallavolo è uno sport planetario, la Fivb (la federazione mondiale) mette insieme più nazioni di quanto riesca a fare l'Onu e alcune recenti ricerche certificano la pallavolo come il terzo sport più praticato nel mondo, dopo il nuoto e il calcio: non c'è dubbio alcuno che a pallavolo giochino centinaia di milioni di umani. È uno sport talmente amato da aver generato altri due format: il beach volley, diventato uno degli eventi più significativi dei Giochi Olimpici estivi e una versione per amanti della montagna, lo snow volley, che sta tentando di bussare ai Giochi Olimpici invernali.
Insomma, uno sport che si gioca letteralmente ovunque nel pianeta.
Domenica scorsa le nostre due squadre, a distanza di poche ore di fuso orario, sono diventate entrambe campioni del mondo. Includendo centenari e neonati, 77.674 nostri connazionali saranno scoppiati d'orgoglio. Pochi po-po-po-po-po-po e probabilmente non troppa folla ad aspettare questi atleti in aeroporto al loro ritorno in Italia, però una consapevolezza che deve spingere a una riflessione: anche lo sport ipertecnologico e globalizzato di oggi può riservare "piccole" storie felici. Conegliano e Civitanova sono due squadre zeppe di campioni, hanno budget importanti, non c'è dubbio, ma restituiscono tutta la bellezza romantica dell'idea che sta a monte delle loro campagne acquisti e investimenti. Per una volta, più che ai campioni, viene da fare i complimenti ai presidenti e ai direttori sportivi che hanno visto così lontano, che hanno saputo immaginare una mezza follia, ovvero che due piccoli Comuni della provincia italiana potessero, un giorno, salire sul tetto del mondo. Si tratto, in fondo, di fare tre cose: 1) prendersi cura di un dettaglio (che sia pallavolo, un manufatto artigianale, un'opera architettonica, una piazza, una ricetta, una chiesa) innamorarsene e averne cura, rispetto, manutenzione quotidiana; 2) assumersi la piena responsabilità di ciò che si sta costruendo rinunciando a ogni possibile alibi; 3) saper fare le prime due cose non solo quando è facile, ma soprattutto quando è difficile farle. Non è un lavoro per tutti, che si tratti, o meno, di sport. È un lavoro da campioni, proprio come quelli che poi, in campo, mettono a segno l'ultimo punto. È il lavoro di quella squadra che sta dietro la squadra, di chi fa le cose non solo con la tecnica, ma con tutta la passione di quel mondo di cui un giorno, magari, si diventa campioni.