Fabius Quail avrebbe avuto maggior fortuna nel calcio italiano, soprattutto se fosse nato, chessò, a Ilfracombe, paesino del Devon affacciato sul mare, e non a Castellamare di Stabia ch'è una meraviglia accovacciata nel golfo di Napoli, fra il Vesuvio e la penisola sorrentina; un sogno, sì, ma volete mettere il fascino esotico di quel posto lí, come si chiama? E quel cognome, Qua-glia-rel-la, scusate, possibile che Sofia Scicolone non abbia insegnato niente? Sophia Loren si è fatta chiamare, Loren, capito? E ha vinto anche un Oscar. Fabio no, Fabio ha vinto tre scudetti e due Supercoppe Italiane con la Juve, ma chi non vince con la Juve? Troppo facile. A Napoli, quando c'è passato, per caso, gliel'hanno detto: meglio perdere con noi. E lui, invece, dopo un mezzo giro d'Italia, al Chieti, al Toro, all'Ascoli, alla Samp e all'Udinese senza vincer nulla, segnando solo 67 gol, era arrivato a Napoli per vincere. Non l'avesse mai detto, lo hanno cacciato, vai alla Juve, traditore, vai alla Juve, cosí impari. E ha imparato a vincere, zitto zitto, con qualche lacrima sul viso, tre scudetti - dicevamo - che i tifosi bianconeri avrebbero scambiato volentieri con una Champions e invece quelli del Napoli sono dieci anni che ci provano - come anche ieri - e alla fine fingono di essere contenti perché i loro eroi «giocano meglio». Quagliarella ha continuato a giocare dove gli chiedevano gol: come al Torino, dove ne ha fatti 18, e magari anche lí gli hanno dato del traditore, poi per fortuna è capitato alla Sampdoria: gol a bizzeffe, 53 per ora, così è arrivato a 207 ma soprattutto, dopo i due di domenica a Ferrara, è diventato capocannoniere davanti al mitico Cristiano Ronaldo, al tiratore scelto Piatek, a Zapata, a Milik...Già, un polacco che fa impazzire Napoli, mentre lui, Fabio... S'era appena trasferito alla Juve e una sera sono capitato in una trasmissione tivù napoletana molto teatrale, vabbè che lì ci vuole poco. Noti opinionisti davano del traditore a Fabio, intervenni in sua difesa, dissi anche - imperdonabile - che l'avevo conosciuto bene e mi era parso un uomo vero. Fui spernacchiato, me ne andai senza ritorno. Avrei voluto ricordargli - l'ho fatto altrove - che avevo conosciuto il signor Quagliarella una sera a Udine - dove giocava - a una cena di beneficienza: lui e Totò Di Natale si batterono a suon di centinaia di euro per conquistare la maglia di Lavezzi in palio. Tifosi del Napoli entrambi, Totò non solo aveva accuratamente evitato di giocare con gli azzurri ma anche di giocarci contro: «Segnare al Napoli - disse - sarebbe stato come far gol a mio fratello». Sapeva, in realtà, Totò, che nessun napoletano è profeta a Napoli, forse solo Bruscolotti, un uomo di ferro, neanche Juliano, nonostante il suo splendido passato di calciatore e l'ingaggio di Maradona. A proposito, Diego Armando è l'unico napoletano riconosciuto. L'altra sera hanno spernacchiato anche Insigne. Quagliarella subì anche uno sciacallo locale, altro che stalker, e per quello se ne andò. Napoli ne prese nota. E basta. Il “mio” Quagliarella è un vero uomo, un grande calciatore, un artista, i suoi gol sono da cineteca. Il suo prossimo azzurro è la maglia della Nazionale. Mancini sa che i gol non hanno età.