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Quei gesti di sport oltre limiti e confini

Mauro Berruto mercoledì 4 marzo 2020
Nel pieno infuriare delle polemiche tra Usa e Messico, quando Donald Trump, a una settimana dal suo insediamento alla presidenza Usa, firmò il decreto esecutivo per l'ampliamento ermetico del grande muro al confine, lo sport (che sempre gioca d'anticipo sulla realtà) aveva risposto con un torneo di "wallyball", curiosa disciplina che mette insieme le parole wall (muro) e volleyball, uno fra gli sport più diffusi al mondo. Il muro ai tempi già esistente, ovvero la recinzione che divide le due parti della città di Naco, quella della regione di Sonora, Messico, da quella in Arizona, Usa, si trasformò in una rete al di qua e di là della quale due squadre giocarono a volley, nella curiosa condizione di gareggiare, entrambe, in casa. Quegli improvvisati atleti, schierati fra gruppi di tifosi e guardie con i fucili in mano, si scambiavano la palla, unico oggetto capace di volare oltre quel confine che divideva, forzatamente, gli esseri umani.
Stesso scenario, altro contesto, a noi purtroppo perfettamente noto in questa emergenza coronavirus, ovvero uno dei confini della zona rossa. A Codogno e a Lodi ci sono due buone squadre di baseball entrambe capaci, nel corso della loro storia, di frequentare la serie A1. Oggi, per entrambi questi club, sono un po' passati i tempi d'oro, ma esiste un presente di ottimo livello e una storia che non si cancella, così come non si cancella la rivalità, molto sentita come sempre succede quando due Comuni così vicini sono in grado di primeggiare nello stesso sport. Insomma, siamo pur sempre il Paese dei campanili e in tempi normali sarebbero volati dei coloriti epiteti dalle tribune, se si fosse disputato un derby. Le grandi paure ed emergenze, tuttavia, hanno il potere di mettere in mostra tanto il peggio quanto il meglio degli esseri umani. Tante sono state le reazioni spregevoli, così è bello raccontare un meraviglioso effetto collaterale accaduto, proprio al confine della zona rossa, quella presidiata dalle volanti della Polizia. È bastata una telefonata tra Paolo, 32 anni di Codogno che oggi gioca nel Lodi e il suo ex-compagno di squadra Filippo, sedicenne, che è di Lodi e gioca nel Codogno. Nella evidente, per entrambi, impossibilità di allenarsi, si sono dati appuntamento proprio lì su quella linea di confine dove gli abitanti di Codogno non possono uscire e tutti gli altri non possono entrare.
Si sono presentati con la rispettiva divisa da baseball e hanno fatto la cosa più naturale per gli sportivi: allenarsi. Certamente un allenamento un po' atipico, nulla di particolarmente performante. Indossato il cappellino e il guantone d'ordinanza si sono lanciati ripetutamente una palla da baseball, l'unica cosa capace di poter uscire e rientrare dalla zona rossa. Giusto per qualche minuto, anche in questo caso davanti a uno sparuto gruppetto di tifosi, finalmente sorridenti dopo tanta tensione. Nulla di performante, dicevo, ma quella palla da baseball meravigliosamente simbolica, che vola sopra la testa dei Poliziotti, sorridenti anche loro, resta la testimonianza più efficace che lo sport, proprio come un virus, non sa che cosa sia un confine.
A differenza di un virus, tuttavia, lo sport vero (non quello giocato dietro alle scrivanie di alcuni dirigenti del nostro calcio che ci auguriamo abbiano presto l'occasione di dimostrarsi migliori di quanto oggi sembra) insegna che quando ci sono momenti che sembrerebbero inevitabilmente dividerci e portarci a pensare individualmente, il contagio più meraviglioso, quello veramente inarrestabile, resta la volontà di unire.