Quegli amministratori locali «ammirati» anche dal Papa
Il primo, l'avrete già intuìto, è il referendum istituzionale; a giochi ormai abbondantemente fatti e digeriti, se un valore bipartisan dobbiamo infatti riconoscere alla consultazione del 4 dicembre è l'attenzione che ha implicitamente riacceso sulla politica cosiddetta "locale". In effetti, la proposta di riforma del Senato comprendente sindaci e consiglieri regionali – al di là dei pro o dei contro e delle modalità concrete di realizzazione (sovraccarico di impegni per un amministratore locale? scelta dei "soliti noti" provenienti dalle grandi città? eccetera) – ha avuto il merito di ritenere i rappresentanti della politica "minore" degni di assurgere ad assise nazionali di per sé, ovvero per il solo titolo democraticamente già acquisito, senza dover intraprendere quasi per via gerarchica un'ascesa dalle elezioni comunali alle provinciali, alle regionali, e via così.
Credo che a tanti sindaci, spesso ridotti a cingersi della fascia tricolore come di un civico cilicio, abbia fatto piacere anche il solo remoto ed eventualissimo pensiero di poter essere ascoltati – chissà, un giorno – come "senatori" dalla Repubblica che umilmente servono. Non che con questo vogliano finire a Roma: alla maggioranza, sono convinto bastino i grattacapi di casa. Ma sapere che, almeno in teoria, pure a loro si è pensato per quell'onore: beh, è una soddisfazione se non altro morale.
Il secondo simbolico beau geste, ahimè infinitamente meno noto e disputato nell'opinione pubblica, è la lettera inviata da Papa Francesco ai 60 "cari fratelli sindaci" che a metà mese si trovavano in summit in Vaticano: «Conosco le sue iniziative, le sue battaglie personali e le avversità che ha dovuto affrontare. Le esprimo, pertanto, la mia ammirazione e la mia gratitudine per il suo operato intelligente e coraggioso...».
Anche al lume di questi atti mi pare dunque significativo (ancorché non preventivato ad hoc) che Avvenire avvii proprio ora questa rubrica, in cui si pretende di osservare la politica – una volta tanto – "dal basso": ovvero dalla prospettiva dei moltissimi dilettanti o appassionati che si trovano pro tempore a ricoprire un incarico in uno degli oltre 8.000 Comuni dello Stivale. Se il Papa infatti ci ha scritto esprimendo «ammirazione», se qualcuno ha creduto di farci "senatori", hai visto mai che abbiamo sul serio qualcosa d'interessante da dire, persino per comprendere meglio di che "riforma" e di quale politica ci sarebbe concretamente bisogno?
Dal gradino più basso della famigerata "casta", vorrei dunque rappresentare una voce dei numerosi amministratori comunali che semplicemente, ma quotidianamente, tengono la posizione. Sappiamo che il qualunquismo da bar ha già emesso la sua sentenza: «Se lo fanno, è perché avranno il loro tornaconto»; ma si tratta di un cinismo che, sotto sotto, implora d'essere smentito; e per fortuna nella massima parte dei casi ancora lo è, grazie ai tanti che magari non sono "eroi anonimi" (anonimi no di sicuro, anzi nei rispettivi paesi fin troppo "popolari"...) però "militi ignoti" un poco sì.
Assessori e consiglieri, delegati e vicesindaci, siamo un piccolo ma risoluto esercito di militanti da municipio che lotta per spirito di partito o lista civica, certo; aggiungiamoci pure un pizzico d'ambizione personale – c'è anche quella – nell'essere "maggiorenti" della propria città; ammettiamo di avere una certa passionaccia per la politica, come succede per un hobby che divora il tempo e fa persino trascurare altri doveri; ma non basta. Non si resiste al logorio degli anni senza quel quid inafferrabile di militanza che qualcuno chiamerà spirito civile, altri definiscono bene comune o volontariato sociale, altri ancora voglia di cambiare le cose, di mettersi a disposizione, di spendersi per la causa pubblica. Persino il Papa – che non è un politico – se n'è accorto.
r.beretta@avvenire.it