Sono seduti a un tavolo davanti a un rifugio in montagna, sopra a Ortisei. È giugno ma già fa caldo: una meravigliosa giornata di sole, i pascoli in fiore. Quel sole picchia sul tavolo di legno, e i quattro avventori fanno aprire l'ombrellone. Sono venuti su a piedi, sono accaldati. I boccali di birra traboccanti schiuma candida vengono afferrati avidamente. Poi un momento di silenzio: gli amici guardano l'orizzonte, il gruppo del Sella, il Sassolungo. Tutte cime che conoscono a menadito. Gli occhi ne accarezzano i cari profili. L'avventore più anziano è mio padre, quello con la camicia a quadri lisa. Accanto, quello alto e bruno è mio fratello, gran fumatore, la sigaretta sempre in bocca. Di fronte c'è don Fabio, faccia da montanaro di Valtellina. E alla sua sinistra don Antonio, il più giovane, un po' sovrappeso, che si affretta a chiedere il menu.
Io li osservo da una certa distanza, non posso avvicinarmi. Ne sento le voci, mio padre racconta qualcosa, gli altri ascoltano, attenti. Sono felici quei quattro amici a tavola, in una splendida giornata d'estate, in Val Gardena.
Vorrei sedermi con loro. Quante domande, avrei da fare. Ma non posso, non mi posso avvicinare. C'è una barriera inesorabile dentro questo cielo azzurro, che ci divide.
Solo per una strada si va, oltre, e non si sceglie quando. Si deve attendere e conquistare, l'abbraccio di quelli che abbiamo amato.