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Quanto tempo passiamo nel digitale e come farlo al meglio

Gigio Rancilio venerdì 3 agosto 2018
Una delle convinzioni più diffuse è che passiamo troppo tempo attaccati ai telefonini. Per questo molti saranno felici nel sapere che Facebook e Instagram lanceranno «un nuovo cruscotto che permetterà di monitorare quanto tempo spendiamo su questi social». Non solo: sarà possibile «impostare un limite di uso quotidiano, e un nuovo modo per limitare le notifiche così da non essere disturbati». Visto che un servizio simile è stato annunciato anche da Apple e da Android, immagino le facce soddisfatte soprattutto di tanti genitori che potranno così limitare lo spreco di tempo dei figli.
Come si usa dire: bene, ma non benissimo. Per capire questa mossa dobbiamo infatti tenere presente che per via di scandali come quello di Cambridge Analytica negli ultimi mesi abbiamo mutato il modo col quale guardiamo a questi colossi. Come spiega Nicola Zamperini, non li vediamo più «come i sovrani taumaturghi del presente, ma come strumenti e spazi in cui avventurarsi con cautela, osservandone pregi e difetti». Insomma, quella di Zuckerberg, Apple e Android non sarebbe (solo) un servizio alla collettività ma (anche) una furba operazione di marketing per apparire più responsabili. Tanto più che il tempo speso da ognuno di noi su app, social e web è una delle monete più preziose nel mondo digitale. Sarebbe, quindi, assurdo che questi colossi andassero contro i loro interessi. Se lo fanno è perché sono convinti che una simile mossa farà (ri)guadagnare loro parte della fiducia delle persone (e quindi ci farà paradossalmente spendere più tempo nel digitale) e al contempo, pur apprezzando un servizio simile, solo pochi lo useranno davvero per limitare e limitarsi. Perché siamo pigri, perché siamo abitudinari e perché a molti tutto questo interessa a parole, ma nei fatti molto meno.
Aggiungo che per potere fare un ragionamento corretto sul «tempo digitale» dovremmo chiederci: quante ore passiamo davvero nel digitale e come le spendiamo?
Secondo il rapporto We are social, il tempo degli italiani in Rete (con app, social e web) è nella zona inferiore della classifica mondiale. Non è una giustificazione, è un dato. Usando pc, tablet e smartphone l'italiano si connette mediamente ogni giorno alla Rete 6 ore e 8 minuti. E di queste, 2 ore e 20 minuti al giorno solo usando gli smartphone. Per fare che cosa? Tre ore e un minuto al giorno, cioè la metà del totale, per guardare video su YouTube ma anche film o serie tv su piattaforme come Netflix o Prime Video; mentre 45 minuti al giorno per ascoltare musica con Spotify o YouTube; il tempo passato sui social è invece mediamebte di 1 ora e 53 minuti.
Tanti sono convinti che sia troppo. Tutto. Troppi social, troppi video, troppi Whatsapp, troppo web e, ovviamente, troppi giochi. Eppure a confronto con un indonesiano, un sudafricano, un malese, un argentino o un egiziano siamo “morigerati” visto che in quei Paesi si passano oltre 8 ore al giorno sulla Rete. I cinesi invece usano gli smartphone il 50% più di noi e gli argentini il doppio, mentre gli americani passano più tempo di noi in Rete ma sono più morigerati nell'uso degli smartphone. I belgi invece usano i cellulari in Rete la metà degli italiani, finendo all'ultimo posto di questa classifica.
Se la quantità di tempo spesa nel digitale fosse davvero un indice assoluto, ne potremmo dedurre che i belgi sono più responsabili e più “sani” di noi, mentre i filippini sono “malati gravi” visto che passano il triplo delle ore sui telefonini.
Il problema di quanto tempo spendiamo non solo in Rete ma anche semplicemente attaccati ai cellulari è serio e di portata mondiale. È evidente che tutti dobbiamo educarci a usare nella maniera più corretta il digitale. Ma per farlo, per prima cosa, dobbiamo sgomberare la testa dai facili entusiasmi per certe novità che poi magari si rivelano ininfluenti ma anche da tanti preconcetti. Sarà banale (riba)dirlo: ciò che conta non è solo e tanto il tempo speso nel digitale ma come lo usiamo. E non esiste applicazione che possa insegnarcelo. Per questo servono educatori e genitori appassionati. Quelli che Pier Cesare Rivoltella chiama «i mediattivi». Adulti che abitano il digitale e che non si limitano a vietare ma aiutano i ragazzi a elaborare un pensiero critico. Se c'è infatti un dato estremamente positivo di questa rivoluzione che tocca tutti è che chiama ognuno di noi ad essere sempre più responsabile.