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Quanto diverse le code per il Blak Friday e per il pane

Marina Corradi domenica 24 novembre 2024
Io non ricordo un Avvento come questo che si prepara. Chi ha più di ottant’anni ne ha visti di ben peggiori, certo: di guerra, di fame, di attesa di padri dal fronte. Ma, nata alla fine degli anni ’50, ho aperto gli occhi su un mondo in pace, con le aule piene di bambini, la fame sconosciuta, e già Vespe e Fiat, per le strade di Milano. E un Natale come questo proprio non l’ho mai visto, in Italia. L’altra notte dalla Russia hanno lanciato sull’Ucraina il missile balistico ipersonico Oreshnik. Non è la prima volta che Mosca lancia vettori in grado di portare testate nucleari, ma questo è un modello più potente. Viaggia a 12mila km orari e può colpire a 6mila km di distanza. Due conti: Parigi è a 2.800 km da Mosca, Roma anche di meno. Certo, ci rassicurano gli esperti, l’intento non è di colpirci, ma di farci sapere che è possibile farlo. Come un nemico che ci punti addosso un mitra: solo per dirci che potrebbe sparare – se non stiamo attenti, se non assecondiamo il suo gioco. Lo strano è che fra noi non se ne parla molto. Anche i media mi pare si soffermino più volentieri sulla cronaca nera, o sul voto in Emilia e Umbria. Il voto regionale è importante. Io però guardo stranita i grandi sorrisi di Schlein e alleati, mentre muri di guerra ci si alzano attorno. Ci diciamo che, tanto, non possiamo farci niente. Che possiamo solo sperare. Possiamo, chi crede, pregare. E forse c’è gente che in questi giorni prega molto. Non lo vediamo, non è dato di saperlo. Ciò che vediamo invece è il consueto rito del Black Friday: lunghe code dall’alba, là dove vendono un iPhone 16 scontato, o tv a 50 pollici sottocosto. Levarsi alle cinque per mettersi in fila, magari a zero gradi, e già dietro a centinaia di altri. In molti Paesi disgraziati, a partire dall’Ucraina e da Gaza, lo si fa per il pane. Da noi, per smartphone da mille euro. Non c’è qualcosa che non va nel nostro cuore? Anche questo mi preoccupa, e più di quei missili che forse non verranno mai lanciati. Là dove è il vostro tesoro è il vostro cuore, è scritto. Ma se il cuore di tanti è davanti alle saracinesche di Mediaworld o Unieuro, mentre l’Europa attorno trema come non accadeva da 80 anni, la percezione della realtà non mi pare adeguata. Penso anche a quella preside di una scuola pugliese che all’Open day ha avuto il coraggio di dire ciò che vede fra i suoi alunni quattordicenni: chi opprime i compagni più deboli, chi fotografa l’auto, e la targa, del professore che rincasa. Non un singolo caso, ma tanti. Come figli cui nessuno ha insegnato niente. Quando leggo, e succede spesso, di violenze di bande di ragazzini a una coetanea, o magari contro un inerme clochard, mi viene perfino da domandarmi se non ci stiamo disfacendo con le nostre mani, senza bisogno di Oreshnik. Grazie a Dio ci sono ancora i bambini, benché non molti: i bambini piccoli, ignari di tutto. Personalmente ammetto che sono anche loro la mia forza in questo Avvento: quello sguardo fiducioso di chi si aspetta che gli si voglia bene, e lo si protegga. Credo che la denatalità ci faccia male anche in questo senso: in molte case non ci sono figli o nipoti, e quanto mancano, quegli occhi candidi. Nemmeno per strada li guardano più molto, i passanti, i bambini, almeno a Milano. Troppi pensieri, troppa solitudine; e poi, aleggia il dubbio, sarà davvero cosa buona venire al mondo, in questo buio 2024? Eppure, per i tanti che non hanno più fede o l’hanno dimenticata, gli occhi dei bambini sono uno dei segni rimasti, per ricordarsi: ricordarsi di chi siamo, di quale desiderio di felicità portiamo scritto dentro. Cerchiamo almeno gli occhi dei bambini, quelli proprio piccoli, gli atterrati da poco. Gli occhi dei figli nostri e degli altri, con la loro silenziosa domanda di bene, dentro paura e dimenticanza ci ricordino quale Figlio, e con quale promessa arriva. © riproduzione riservata