Quando sento la pubblicità dei biscotti "senza" grano, resto perplesso. Il grano è diventato pianta tossica? Certo che no. Si tratta di un messaggio ultra-salutista, assieme ai grassi abbassati, agli zuccheri cancellati, alle calorie ridotte al minimo. Sul fronte opposto c'è l'interesse ossessivo per la preparazione dei cibi che intasa la tv giorno e notte: gare e concorsi, giovani cuochi e chef consumati, in una girandola di prelibatezze colorate. Non reggono certo il confronto i prodotti e i cibi che compaiono ogni tanto nei servizi televisivi regionali. Segnano il passo anche le ricerche sulle produzioni locali e i cosiddetti "cibi poveri".Ho partecipato con alcune schede al progetto europeo Produits de terroir. Furono raccolte oltre 300 ricette diverse per la sola Italia settentrionale, ma nell'elenco stilato a Bruxelles vennero inseriti solo pochi marchi già di fama internazionale. Probabilmente, in questa come in altre simili rilevazioni, non è chiara l'idea di prodotto o cibo "tipico". Come può esserci una "cucina ligure", dal momento che la Liguria è costituita da una serie di ripiegature vallive, con produzioni diverse da un versante all'altro dei monti? Quali variazioni si sono introdotte, col tempo, nei metodi di preparazione o cottura?Nelle ristrettezze del dopoguerra, mia nonna faceva il pesto (pestello e mortaio di marmo) con le foglie scure del basilico adulto; oggi, in epoca di abbondanza, l'industria alimentare offre pesto di un verde luminoso, preparato con "piantine giovani e tenere". Volete la ricetta della "baciocca", presente sui monti dell'alta valle del Vara? Era, settant'anni fa: patate a fette coperte da un velo di cipolla dentro una sfoglia di farina bianca, da cuocere in una teglia unta con lo strutto (grasso di maiale). Oggi: l'olio sostituisce lo strutto, la farina bianca "lega" le patate, quella di mais asciuga l'eccesso di umidità, le uova sbattute assicurano la doratura, la cipolla è quasi del tutto sparita. La polenta è stata cibo povero e impoverente, fino a quando non si è scoperto che per digerire le proteine contenute nel mais serve una precottura. Oggi la polenta si consuma arricchita di sughi, salsicce, carne di lepre o cinghiale (o di luccio, attorno ai laghi). Alcuni cibi dalla preparazione elaborata, come i ravioli, avevano una valenza rituale e comparivano solo nelle feste; oggi la preparazione artigianale e industriale li rende disponibili in qualunque giorno dell'anno.Con l'abbondanza è aumentato il potere nutritivo, ma è diminuita quella che un grande studioso, Ivan Illich, ha chiamato «convivialità». È quest'ultima che preserva dagli eccessi, trasformando il pranzo o la cena in occasioni amicali, di conoscenza e di scambio. Ne troviamo un esempio significativo nell'archivio familiare – è disponibile un estratto – di Giuseppe Arrivabene (1798-1882). Nobile mantovano e patriota, si rifugia in Liguria nel 1849, dopo la prima guerra d'indipendenza. Buon compositore, fonda nel 1851 a Varese Ligure una delle prime «fanfare» d'Italia. Un appunto senza data ci presenta un «pranzo di Natale». Oltre ai ravioli fanno parte del menu: frittura di cervella, bollito di cappone e di manzo, zampone, pesce in bianco. Non mancano dolci e frutta. Ma sono gli ospiti a portare gran parte degli ingredienti: da Borgotaro, da Genova, da Chiavari, da Sestri Levante. Padrone di casa e invitati contribuiscono dunque insieme all'evento.Il vertice dello spirito conviviale viene raggiunto, negli stessi anni, dall'Albergo degli Amici: la persona che, per necessità, è costretta ad alloggiarvi nel giorno di Natale, partecipa gratuitamente al pranzo di famiglia dell'albergatore.