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Quando uno si dà il sondaggio sui piedi

Pier Giorgio Liverani domenica 15 aprile 2007
«Perché non possiamo dirci cattolici». Con delicata scelta di tempo, questo titolo campeggiava, la domenica di Pasqua, sulla prima pagina del Giornale. Il quale, però, aveva ragione di affermarlo. Non perché il sondaggio sulla conoscenza della dottrina cattolica, esplicitamente motivato, nel fondo di Maurizio Belpietro, come dato politico in vista delle elezioni amministrative, dimostrasse la non cattolicità, per ignoranza della loro religione, del popolo italiano, bensì perché anche il Giornale ha mostrato di essere proprio lui per primo quello che non conosce il catechismo. Il sondaggio, fatto non si sa con quali criteri e quale campione, diceva che «solo l'8 per cento dei battezzati ha evidenziato una alta conoscenza della religione cattolica; il 37,4 una conoscenza sufficiente» mentre «più della metà ne ha una scarsa o pessima del cattolicesimo». Non è una novità, ma il primo errore religioso è che la fede non si misura sui dati culturali e che nessuno può giudicarla con i criteri della demoscopia: "Chi avrà detto raca al fratello, sarà sottoposto al Sinedrio" (Mt 5,22). Il secondo errore riguarda le «risposte esatte» fornite dal Giornale. Per esempio, quella riguardante la Trinità è quasi un'eresia: sarebbe «la misteriosa essenza di Dio che è al tempo stesso una e tre persone insieme». Sennonché già il "Catechismo Romano", pubblicato da San Pio V dopo il Concilio di Trento, precisava: «Nell'unica essenza divina dobbiamo riconoscere non già una sola Persona, bensì una distinzione di Persone». Il Catechismo di San Pio X: «Un solo Dio in tre Persone uguali e distinte». E il recente Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato da Giovanni Paolo II, mai parla di «una e tre persone insieme», ma di un'«unica divinità» in tre «Persone». Il Giornale, inoltre, definisce il Credo una «preghiera» piuttosto che una confessione di fede o un «parlare di Dio» (CCC, 39 sgg.). Infine scrive che il Papa «si è steso sul pavimento prima della Via Crucis», mentre lo ha fatto prima della liturgia «in Passione Domini» del Venerdì Santo, in cui non c'è la Via Crucis, ma l'"adorazione" della Croce. Insomma, sono certi colleghi del Giornale che dovrebbero chiedersi se possono dirsi cattolici. I SEMPLICI E I SAPIENTI Un altro che forse potrebbe porsi la stessa domanda «Posso dirmi cattolico?» è (don) Enzo Mazzi, quello dell'Isolotto di Firenze. Secondo lui, che arriva con un ritardo di anni alle tesi dei più estremi laicisti, la Sacra Famiglia non è il «modello perfetto di famiglia», ma soltanto «una Sacra Unione di Fatto» (l'Unità, giovedì 12), perché Giuseppe e Maria, «escludendo dal loro matrimonio la fecondità naturale, per amore della verginità di Maria, secondo il Catechismo cattolico compiono un grave peccato». Anzi il loro matrimonio sarebbe «nullo». La cosa grave non è che il povero (don) Mazzi non conosca la morale coniugale e le leggi della Chiesa (un matrimonio casto è valido se vissuto come "sacrificio spirituale"), ma che pur parteggiando per i "semplici", egli si sia fatto "sapiente" e per questo (Mt 11,25) non comprenda più il sublime assurdo evangelico di Dio. Peccato.