Quando un fedele “antimoderno” incontra un custode del servizio
L'autore del racconto, con dovizia di particolari, sottolinea i pregiudizi che ha ravvisato nelle parole e negli atteggiamenti del diacono, ma ancor più dà risalto ai propri: giacché qualifica il suo interlocutore come «frutto becero di quel diaconato “laico” che ha spopolato con l'eresia modernista», e conclude mettendo tutto sul conto «del misericordismo bergogliano e ancor prima della pastorale conciliarista». Chissà se si sarà ricreduto leggendo il commento-risposta che, con qualche giorno di ritardo, il diacono in questione ha postato sul sito. Dove prima di tutto smarca il santuario – prima ancora di sé stesso e del ministero che egli esercita – dall'accusa di modernismo; poi non nega di «aver alzato appena la voce» e ribadisce alcune sue opinioni sul «vecchio rito». Ma, il che mi pare la cosa più importante, sottolinea che la risposta alla richiesta che ha originato la conversazione – far battezzare in quel santuario un bambino da parte di un sacerdote della Fraternità San Pio X – non è «no» ma «devo chiedere il permesso» (al vescovo, immagino). Il tutto con onestà, pacatezza e un pizzico di autoironia – a proposito di un certo sigaro.