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Quando Renato Solmi scoprì il marxismo alla rovescia di Adorno

Alfonso Berardinelli venerdì 20 novembre 2015
Uno dei più singolari capolavori della filosofia del Novecento, Minima moralia di Theodor W. Adorno, pubblicato in Germania nel 1951, arrivò in Italia solo tre anni dopo nell'eccellente traduzione di Renato Solmi. A leggere il libro, a capirne immediatamente l'originalità e il valore, a impegnarsi nella traduzione della sua prosa concisa, impervia, insieme brillante e scostante, fu questo filosofo italiano poco più che ventenne: il giovane Solmi (figlio del critico e poeta Sergio) era allora consulente della Einaudi e riuscì a imporre la pubblicazione di Adorno, allora sconosciuto sia in Italia che in Europa, nonostante perplessità e diffidenze di consulenti più anziani e autorevoli. Già capire che i Minima moralia erano un'importante opera filosofica e non una serie di stravaganti riflessioni rapsodiche, fu di per sé un'impresa intellettuale fuori del comune. Nonostante la pubblicazione appena realizzata dalla stessa Einaudi dei Quaderni del carcere di Gramsci, la filosofia italiana risentiva ancora dell'influenza di Croce e del suo storicismo liberale. Marx, Freud, Weber, Nietzsche e la grande letteratura del primo Novecento, da Proust a Kafka, non si erano ancora imposti come fondamenti culturali imprescindibili. Il pensiero di Adorno non solo li presupponeva, ma la tessitura teorica e stilistica della sua prosa procedeva per paradossi e per “trapassi bruschi” fra psicologia del profondo e sociologia critica, riflessioni sull'arte moderna e considerazioni pessimistiche sul destino dell'alta cultura e dall'autonomia individuale in una società capitalistica di massa. Pressoché ignorata in Italia era una delle idee centrali di Adorno e Horkheimer, quella di un'“industria culturale” capace di colonizzare la coscienza pubblica e la vita quotidiana.Per evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni politiche, Solmi scrisse l'ampia e memorabile Introduzione ai “Minima moralia” ora riproposta in un volumetto da Quodlibet (pagine 88, euro 12). In anni di guerra fredda, Solmi sapeva bene che il marxismo eretico di Adorno avrebbe irritato e scandalizzato sia i comunisti ortodossi e filosovietici che gli apologeti delle libertà democratiche americane. Esuli negli stati Uniti durante il nazismo, Adorno e Horkheimer avevano studiato da sociologi le forme liberal-democratiche di un controllo sociale realizzato con la trasformazione degli stessi impulsi di libertà in consumo di merci attraenti, comode, banalizzanti e persuasive. «Il supercapitalismo», scriveva Solmi già nel 1954 «ha appreso la lezione di Marx, stravolgendone il senso» e così i rapporti umani «diventano epifenomeni dei rapporti di produzione».