Quando Ortega y Gasset definì Proust uno «scienziato» dell'esperienza
In tutti questi scritti (di Paul Valéry, André Gide, Jean Cocteau, Jacques Rivière, Ernst-Robert Curtius, Emilio Cecchi e altri) si legge qualcosa di notevole e di essenziale che avvicina a Proust e alla sua epoca. Ma forse lo scritto più originale è di José Ortega y Gasset: secondo il quale, appunto, Proust non costruisce un mondo immaginario, ma somiglia piuttosto a uno scienziato che scopra una diversa dimensione della verità e dell'esperienza. Le cose di cui parla Proust sono poco più che pretesti. La prolissità e la minuziosità sono le sue muse, due strumenti necessari a percepire l'identità fluttuante ma non dinamica di personaggi, situazioni e sentimenti. Secondo Ortega «l'esistenza dei personaggi di Proust ha un carattere vegetativo. Per la pianta, vivere è essere e non agire». Nei tanti volumi di Alla ricerca del tempo perduto non succede quasi nulla. Il grande romanzo «si dilata senza progressi», è un'opera contemplativa e non attiva: «pagine e pagine, durante le quali restiamo immobili».