Chiesa Valmalenco, pomeriggio di Santo Stefano, una signora anziana ferma un bambino con la sua mamma e gli chiede: «Ti ha portato i regali Gesù Bambino?». «Ma che – risponde lui – Babbo Natale!». Vagli a spiegare che quest’ultimo non ci sarebbe senza il Dono per antonomasia che, dopo oltre 2000 anni continua a fare notizia, anche solo per attaccarlo. «Povera voce di un uomo che non c’è» cantava Adriana Mascagni che con Maretta Campi compose questa struggente canzone intonata in tutto il mondo. Ci ha lasciati la notte del 22 dicembre e il giorno dopo nella basilica di Sant’Ambrogio, il marito Peppino Zola ha letto il saluto dell’arcivescovo Mario Delpini che ha ricordato la sua indole artistica, la sua dedizione unica, dove la sua forza, che si evince nei testi delle canzoni, era di non essere mai tranquilla. E come può stare tranquilla una nonna, un nonno, come Adriana e Peppino, davanti all’idea imperante che tutto sia relativo, mentre avremmo bisogno di certezza su poche grandi cose su cui scommettere. La sera di Natale Alberto Angela ha portato in Tivù Stanotte a Milano, passeggiata fra i luoghi imperdibili di una città che non è solo business, ma anche arte e storia. Il Duomo, Brera, la Galleria, il Castello Sforzesco. E poi San Siro, la stazione Centrale, i Navigli. Quanta vita sotto la Madonnina, dove, a iniziare dal Duomo – per questo davvero simbolo profetico della città – molti hanno costruito sulla certezza di poche grandi cose. Persino Angelo Zola, padre di Peppino e suocero di Adriana, fu costruttore di un movimento di relazioni nato intorno all’arte dei cocktail che oggi alimenta i locali della città, rifiorito intorno a tanti giovani. In quegli anni nasceva anche l’Associazione italiana Sommelier e la tessera “n.1” fu di Jean Valenti, del quale il nipote ha scritto una biografia struggente che attraversa gli anni della guerra e arriva fino al boom economico che ha visto Milano in prima linea. Penso anch’io ai miei angoli di Milano: l’Università Cattolica, il Parco Lambro, la Certosa di Garegnano, detta la Cappella Sistina dei milanesi. Una Milano dove ogni cosa era riempita da un abbraccio di vita, come una compagnia. Che ti rendeva certo di poche grandi cose, filo rosso che lega il Duomo al desiderio che non prevalgano mai scetticismo e relativismo. Ed è questo il Te Deum che mi sento in cuore, dacchè, come cantava Adriana col Duomo negli occhi: “Tutta la vita chiede l’eternità”.
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