Le chiacchiere – si dice a Roma – stanno a zero. E il senso di questo modo di dire dovrebbe essere lampante dal Trentino alla Sicilia. Con i discorsi non si arriva a niente, contano solo i fatti. La storia (e anche la cronaca, specie quella politica) lo dimostra. Io quel detto l’ho però un po’ estremizzato. Non saprei dire quanto sul lato dei fatti, ma di sicuro molto sul lato delle chiacchiere. Sarà che sono sempre stato circondato, spesso assediato, in modo preponderante da donne – madre, sorelle, moglie, figlie, suocera –, tutte più o meno difficili da interrompere, ma sono sempre stato più un robusto ascoltatore che un conversatore. Mi si è sviluppata una sorta di allergia, al punto che spesso le parole mi andavano tirate fuori con le pinze.
Le mie telefonate in media duravano una ventina di secondi, soggetto verbo e complemento: l’essenziale, insomma. Rarissimamente superavano il minuto. Le uniche telefonate lunghe che ricordi sono quelle che facevo con mia moglie Cri, quando eravamo fidanzati. Interminabili, ogni notte, quando il telefono di casa non serviva a nessuno, a volte fino alle tre o quattro di notte (o di mattina, fate voi), e questo anche quando magari avevamo passato insieme la serata. Odiavo le interviste telefoniche, e quando mi capitava di essere chiamato come ospite in qualche salotto televisivo, o come relatore in qualche convegno, era una vera e propria sofferenza fisica. In genere tentavo di schivare la tegola, ma tante volte non era possibile, e allora cercavo di sbrigare la pratica nel modo più indolore possibile. Come una medicina amara da dover per forza mandare giù. Era più forte di me, proprio non mi andava.
Ora che a causa della Sla sono definitivamente muto, però, penso spesso a tutte le parole che non ho detto. E che non potrò dire mai più. Fatti due rapidi conti, mi sa che sono molte. Specialmente mi sembrano molto poche le parole che ho detto a Giulia e Camilla, le mie figlie. Cioè, qualcosa ho detto, e per loro ci sono sempre stato, almeno credo (o meglio, spero che anche loro possano dire che ci sono sempre stato). Idem per mia moglie Cri, alla quale avrei ancora da dire tante cose, nonostante la fitta corrispondenza che abbiamo avuto fin da quando eravamo fidanzati. Ogni tanto penso che potrei scrivere loro, ma poi mi fermo perché ho paura che venga fuori qualcosa di melenso e sdolcinato tipo libro “Cuore”, e sinceramente proprio non mi va. E poi, da chi cominciare? E se non faccio in tempo? Il rischio di lasciare l’opera a metà, lo so da me, è molto alto. Arrivederci a gennaio, almeno spero. E buon Natale a tutti.
(83-Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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