Non sono molti i libri di specialisti e filologi che possono attirare l'attenzione e le curiosità di un più vasto pubblico di lettori. Ora però ne ho uno fra le mani. Si tratta dei
Volgarizzamenti in prosa (1822-1827) di Giacomo Leopardi, edizione critica di Franco D'Intino (Marsilio). Le pagine sono molte, il prezzo è alto, il contenuto del volume può sembrare, anzi è, settoriale e specialistico, data l'abbondanza di note e introduzioni. Ma ci viene offerta l'occasione di leggere o rileggere tutte le traduzioni o "volgarizzamenti" in prosa che Leopardi realizzò in anni fondamentali per la sua maturità di scrittore, gli anni in cui compose uno dei capolavori assoluti della prosa italiana, le
Operette morali. Il libro nacque infatti in parallelo con le letture e traduzioni di classici: Platone, Teofrasto, Senofonte, Cicerone, ma soprattutto Isocrate ed Epitteto. Il volume contiene anche la traduzione del
Martirio de' Santi Padri, leggenda di cui parlò anche San Nilo monaco, che racconta il massacro in epoca imprecisata di 38 monaci eremiti sul monte Sinai. Leopardi, che proprio allora, nel 1822, usciva per la prima volta dal suo "eremo" di Recanati per un soggiorno a Roma, doveva sentirsi attratto dalla «storia esemplare di un violento contrasto tra una comunità di asceti e il mondo» (D'Intino). La filosofia che interessa a Leopardi è la filosofia morale, una teoria e pratica delle virtù che fu chiara agli antichi e che (dopo l'avvento dell'Illuminismo) manca ai moderni. Scrive nello
Zibaldone che «la filosofia di Socrate poteva e potrà sempre non solo comparire, ma infinitamente servire alla letteratura e alla poesia, e gioverà per sempre agli uomini più dell'odierna» perché è «poco lontana da quello che la natura stessa insegna all'uomo sociale». Mentre la filosofia greca poteva mescolarsi con l'immaginazione, «la filosofia di Locke, di Leibnizio ec. non potrà mai stare colla letteratura né colla vera poesia»(21 luglio 1821). Le
Operette morali saranno perciò pensiero poetico e inattuale, ovvero antimoderno.