Quando il terremoto non è più una notizia che riguarda altri
Le cose cambiano sensibilmente quando «il terremoto non è più una notizia che riguarda altri», ma diventa «una realtà tatuata sulla nostra pelle, memorizzata dalle nostre fibre». Tutti noi, ha scritto monsignor Pompili, «abbiamo nelle orecchie, negli occhi e nelle gambe il rombo sinistro di una potenza che smuove e sconvolge. Attimi interminabili di terrore che intorpidiscono i sonni inquieti e che rendono sensibili anche al minimo fruscio, possibile avvertimento della fine. Si è accorciato il nostro sguardo. Viviamo alla giornata, come i malati terminali. (...) Chi ha perso gli affetti più cari non sa più cosa desiderare, il vuoto che sente all'intorno diventa opprimente. Chi ha perduto tutto si chiede cosa fare e si smarrisce rispetto a un futuro senza volto. Non siamo più gli stessi. È cambiata persino la posizione che assumiamo nel letto, una volta superata la paura che blocca in macchina o nel camper. E resta solo una stanchezza che viene da lontano».
Parole di grande empatia, che il vescovo di Rieti aveva posto all'inizio della lettera pastorale rivolta alla sua Chiesa per l'Avvento ( tinyurl.com/j5zwsa7 ). Le ripropongo a testimonianza di tutta l'empatia di cui sono stati capaci, in questi mesi, uomini e strutture di Chiesa, lasciando in secondo piano persino le gravi ferite che il terremoto ha inflitto a luoghi di antica tradizione. È prossimità viva, che non si è esaurita (come quella dei media) non appena l'evento tragico ha perso di attualità, ma che al contrario è stata capace di un accompagnamento costante e fedele, materiale e spirituale.