X Domenica del tempo ordinario – Anno B
In quel tempo, Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni». [...].
Solo. In questo brano del Vangelo di Marco Gesù è solo, nonostante la folla che lo circonda, tanto che, nella casa, non riuscivano più neanche a muoversi. Gesù da un lato è assediato dagli scribi, quelli di chiesa, i gran teologi che lo accusano di essere indemoniato; dall’altro viene tacciato dai suoi, quelli di famiglia, quelli che lo amano, di essere un pazzo. Come si sarà sentito schiacciato da tanta incomprensione, quanta pena gli avrà riempito il cuore? Lui, accusato dagli scribi di essere posseduto da Belzebul, letteralmente “il signore delle mosche” o “dei letamai”; e, contemporaneamente e proprio da chi gli voleva bene, scusato per essere fuori di testa… Nessuno capisce chi è questo Gesù così fuori dagli schemi, così imprevedibile e arreso: gli si rimprovera di non essere come ce lo siamo immaginato, come vorremmo che fosse, è un Messia che non aderisce all’idea che ci siamo fatta di Lui. D’altra parte cosa ti vuoi aspettare da un Dio che sceglie di farsi carne di bambino, di misurarsi con le fragilità dei suoi figli, di mescolarsi a loro fino a morire come ognuno di loro? Difficile da capire, da accettare, meglio considerarlo un po’ scemo. Quante volte anche per noi è incomprensibile la meravigliosa stoltezza di Dio: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1Cor 1,27). Troppo insensato, illogico e irrazionale: troppo amore. Per questo Gesù dirà che l’unico peccato a non essere perdonato sarà quello contro lo Spirito, sarà il non aver creduto possibile un amore illimitato. Lui è venuto per abbattere ogni confine, ogni soglia, di quelle così comode per noi che ci fanno pensare che Dio ragiona con la nostra testa, che ha le nostre stesse certezze, le nostre indiscutibili verità. Lui è venuto per prenderci per mano e accompagnarci piano piano nell’infinito del Padre, come si fa coi bimbi piccoli che imparano a camminare, con pazienza e tenerezza. Lui è venuto a stravolgere le sicurezze attraverso cui ci difendiamo, a dirci che Dio è di più, molto di più di ciò che pensiamo, immaginiamo o costruiamo dentro di noi. E se non gli crediamo allora noi sì che restiamo con un pugno di mosche in mano, a vederle volar via, fastidiose e insistenti con il loro ronzio. E, «girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui», come a voler cercare gli occhi di ciascuno, come a voler leggere dentro ognuno di loro la disponibilità ad accoglierlo, Gesù scrive il suo stato di famiglia: mi appartiene chi è disposto a correre il rischio di passare come chi sceglie la “spazzatura” e gli scarti del mondo, di essere preso per un pazzo scatenato, di essere un incontenibile ed ingenuo folle. Ha il mio stesso sangue, insomma, chi si lascia contagiare da un Dio innamorato pazzo.
(Letture: Genesi 3,9-15; Salmo 129; 2 Corinzi 4,13-5,1; Marco 3,20-35)
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