Per il centenario della nascita di Ennio Flaiano (Pescara 1910, Roma 1972) la Biblioteca cantonale di Lugano ha organizzato nel novembre scorso una mostra documentaria intitolata "Uno che ha tempo": Ennio Flaiano sceneggiatore. Il catalogo della mostra diventa adesso il voluminoso numero 45 di Cartevive, il bollettino della Biblioteca, amorosamente compilato da Diana Rüesch, curatrice del Fondo Flaiano e, con Karin Stefanski, organizzatrice della mostra. Il catalogo contiene parecchie fotografie, e per chi è abituato a vedere Flaiano con i baffoni e con gli occhiali di pesante montatura, sarà una sorpresa scoprire che Flaiano è stato a suo tempo un bel giovanotto. Sul libretto di Flaiano diciannovenne, studente di architettura, si vede un ragazzo glabro e determinato, con un volto che cambia di poco sul tesserino giornalistico del settimanale Oggi, firmato da Mario Pannunzio (1933). Quello che non cambia è la firma di Flaiano, rimasta la stessa anche nelle lettere che ho ricevuto da lui nei suoi ultimi anni. Una foto del 1926, con Flaiano in doppiopetto in mezzo agli amici Curti e Perelli, è giustamente intitolata "I vitelloni di Pescara", e fa capire l'ispirazione del film che Federico Fellini girerà nel 1953, su sceneggiatura del quarantatreenne Flaiano. Il titolo venne spiegato da Flaiano stesso in una lettera del 2 novembre 1971 all'amico Giuseppe Rosato: «Il termine "vitellone" era usato ai miei tempi per indicare un giovane di famiglia modesta, magari studente, ma o fuori corso o sfaccendato; comunque dedito più alle sue compagnie, alla frequentazione del caffè o del circolo locale, nonché della casa di tolleranza, che a tutto il resto». Sull'apporto di Flaiano alla cinematografia di Fellini molto è stato scritto, ma ancora non abbastanza. Basti ribadire che, dopo i capolavori come La strada (1954), Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960), Otto e mezzo (1963), Giulietta degli spiriti (1965), la collaborazione con il regista si interruppe, e da allora Fellini non fu più lo stesso, con l'evidente parabola discendente dei suoi ultimi film. Flaiano amava anche disegnare: sua, per esempio, la copertina del suo libro Le ombre bianche (1972); inoltre si divertiva a creare francobolli fasulli, che qualche volta spediva e che arrivavano pure a destinazione senza impedimenti di sorta (il catalogo ne riproduce cinque). Nella scheda numero 10 è trascritta la recensione, finora inedita, che il giovane Flaiano dedicò a I nostri simili, tre racconti di Pier Antonio Quarantotti Gambini, sul pannunziano Oggi (1933). In appendice, Stefano Stoja, avendo rovistato diligentemente nelle carte del Fondo Flaiano, analizza la sceneggiatura del celeberrimo episodio della fontana di Trevi nella Dolce vita, confrontandola con la (impoverente) realizzazione filmica; passeggia nei fotogrammi della Roma di Flaiano e infine pubblica il trattamento completo che Flaiano preparò per Il ritorno di Casanova (1968) un film che George Cukor intendeva trarre dalla novella di Arthur Schitzler. Ci fu un'intensa corrispondenza fra lo sceneggiatore e il regista, furono versati copiosi anticipi, Flaiano si recò a Los Angeles, ma il film non si fece. Non è una gran perdita perché, stando al trattamento, sarebbe venuta fuori una storia che in mano a Cukor ("il regista delle donne") forse sarebbe diventata una commedia brillante un po' scollacciata. Flaiano, oltre che con Fellini, ha lavorato con molti grandi registi: Zampa, Lattuada, Castellani (in Mio figlio professore Flaiano compare anche come attore), Soldati, Monicelli, Emmer, Rossellini, Blasetti, Antonioni, Risi, Ferreri, Damiani. Compulsando meticolosamente i 72 titoli della filmografia flaianea elencati nel catalogo, ho capito perché di Calabuig, film di Luís García Berlanga, con un'affascinante Valentina Cortese, che vidi nel 1956, ho conservato un così vivo ricordo: la sceneggiatura era di Flaiano, ma chi, a quel tempo, si soffermava sul nome dello sceneggiatore nei titoli di coda?