Se Charles Baudelaire avesse scritto solamente la Morale del giocattolo che La Vita Felice offre nell'agevole traduzione di Giovanni Santambrogio (pagine 76, euro 8), con originale francese a fronte, difficilmente sarebbe entrato nella storia della letteratura. Ma ha scritto molte altre cose, e dunque può stare fra i “Saggi estravaganti” anche questo breve testo che “Le Monde Littéraire” pubblicò il 17 aprile 1853. Peraltro, neanche troppo “estravagante”, perché qui l'autore dei Fiori del male si mostra prevalentemente di buonsenso. Narrativamente, è interessante il ricordo che il poeta conserva di una visita, da bambino, alla signora Panckoucke, ricca nobildonna «vestita di velluto e pelliccia», con quel nome incredibile. La signora aveva una stanza zeppa di giocattoli, alcuni addirittura pendenti dal soffitto, e invitava i bambini a sceglierne uno come suo ricordo. Naturalmente, il piccolo Charles scelse il più vistoso e costoso, con disapprovazione della madre che lo indusse a optare per “un giusto mezzo”. La spiegazione psicologica che Baudelaire dà della propensione dei bambini a smontare il giocattolo segnala un interrogativo metafisico: «La maggior parte dei marmocchi vuole soprattutto vedere l'anima, gli uni dopo qualche tempo d'esercizio, gli altri subito. È la più o meno rapida invasione di questo desiderio che determina la maggiore o minore longevità del balocco [quisquiglia per il traduttore: meglio usare l'espressione infinitiva: «È la più o meno rapida invasione di questo desiderio a determinare la maggiore o minore, eccetera»; pignoli siamo e pignoli restiamo]. Il fanciullo gira, rigira il suo giocattolo, lo gratta, lo scuote, lo sbatte contro i muri, lo getta a terra. Di tanto in tanto gli fa ricominciare i suoi movimenti meccanici, talora in senso inverso. La vita meravigliosa si ferma. Il fanciullo, come il popolo che assedia le Tuilerie, compie uno sforzo supremo; infine l'apre, è il più forte. Ma dov'è l'anima? Qui cominciano lo stordimento e la tristezza» (l'assedio delle Tuilerie, residenza di Luigi XVI, avvenne il 10 agosto 1792: è l'inizio della rivoluzione, che Baudelaire ha ben presente 61 anni dopo, mentre ragiona di giocattoli). In Appendice sono riportati sei contributi in tema di infanzia e giocattoli, compreso un brando Pinocchio nel paese dei balocchi: Giampaolo Dossena scrive di “Archeologia del giocattolo”, e si commuove (con noi) per le bambine romane seppellite con le loro bambole; Philippe Ariès spiega come i giochi intervennero nell'educazione di Luigi XIII; Gianni Rodari tratteggia brevemente il giocattolo come personaggio; Roland Barthes vede i giocattoli come microcosmo degli adulti. Pertinente l'osservazione di Bruno Bettelheim: «Attraverso la sconfitta in un gioco o in una gara che possono essere ripetuti e in cui potrà eventualmente vincere, il bambino arriva a convincersi di potercela fare, nella vita, nonostante i fallimenti temporanei». I genitori devono però fargli capire che l'importante non è il fatto di vincere, bensì il piacere di giocare.