Ricevo due libri che possono ricordare al lettore attento l’esistenza di un tipo di letteratura, se non un genere letterario, che l’attuale idolatria commerciale del romanzo sembra aver cancellato. Il genere è la prosa breve né propriamente narrativa, né raziocinante; eppure, in un senso particolare, allegoricamente filosofica. Gli autori e i libri ricevuti sono: Robert Musil, Pagine postume pubblicate in vita, e Franz Kafka, Una relazione per un’Accademia, entrambi pubblicati dalla casa editrice La Vita Felice. Piccoli libri, molto ben curati e col testo tedesco a fronte. Questi due famosi scrittori del Novecento erano grandi narratori e hanno praticato il romanzo, portandolo al di là di sé stesso e della sua già lunga tradizione. Ma si potrebbe anche dire che più che romanzieri sono autori di narrazioni saggistiche (Musil) o allegoriche (Kafka): scrittori che ridefiniscono l’idea stessa di realtà, occupati come sono a capire che cos’è un fatto, che cos’è una situazione, che cos’è un personaggio e quali le possibilità di destino che si nascondono nei labirintici misteri della vita quotidiana. La loro è una prosa formalmente perfetta e nello stesso tempo vocale: di una vocalità che risuona come “da fuori” rispetto al mondo comunemente noto, o come “da dentro” una mente che monologa in uno stato di lucidità semionirica. A questo si aggiunge un’altra caratteristica: il tono (cosa letterariamente difficile da definire) nello stesso tempo umoristico (se non comico) e allarmante. Nella relazione accademica di Kafka parla al suo pubblico un uomo impegnato a descrivere e spiegare la sua precedente vita da scimmia, dalla quale è uscito non milioni di anni fa, ma solo cinque anni prima. Naturalmente basta questa invenzione per intensificare al massimo l’ascolto del pubblico. La conclusione è: «Se guardo alla mia evoluzione e al suo traguardo fino a ora, non mi lamento, e nemmeno sono soddisfatto». Quanto alle prose di Musil, non è possibile riassumerle. Il paradosso è già nel fatto di come pubblicare “in vita” delle “pagine postume”. L’autore le definisce nella sua nota introduttiva delle “piccole satire”. Anche qui si incontra subito il rapporto allegorico fra vita animale e vita umana. La prima prosa è intitolata La carta moschicida e il tema tragico è la lotta disperata delle mosche catturate per sottrarsi a una morte alla quale non potranno sfuggire.
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