Quando il professore di religione si presenta in aula molti ragazzi escono perché non si avvalgono di tale insegnamento: magari sono gli stessi che invece, presi uno per uno, dimostrano una spiccata sensibilità al riguardo. E del resto come potrebbe essere altrimenti, visto che le domande cruciali sul senso della vita nascono proprio nell'adolescenza? È la dimostrazione plastica di un colloquio interrotto fra Chiesa e giovani. Tale evidenza si trascina dietro la necessità di un rinnovamento linguistico che possa riprendere, nel rapporto ineludibile con l'epoca contemporanea, le esigenze insoddisfatte del Concilio Vaticano II. A me sembra essere questa l'indicazione più preziosa di papa Francesco che, nei suoi cinque anni di pontificato, ha indicato con speciale lungimiranza il cammino da seguire per superare gli steccati: più forza alle cose da fare e meno a quelle da dire; lotta all'ipocrisia; luci accese sui poveri; recupero dello scarto; pietà popolare; valore della gratuità; periferie esistenziali. Un programma di combattimento evangelico che sembra fatto apposta per entusiasmare i ragazzi di oggi. Nella piena risonanza di ciò che (con Matteo 10.34 nel cuore) una volta disse Miguel De Unamuno: «Non predicarmi la pace, ti prego, essa mi fa paura perché vuol dire sottomissione e menzogna».