Progettare la pace globale oltre il rischio nucleare
Circa quarantacinque anni fa, in una biblioteca universitaria, trovai per caso (nel senso che qualcuno lo aveva rimesso nello scaffale sbagliato) un testo di medicina in inglese sugli effetti delle radiazioni nucleari sui sopravvissuti alle atomiche sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki. A corredo del testo c'erano numerose foto, crude come sanno essere le foto scientifiche. Immagini sconvolgenti, al punto che pensai, e ancora penso, che, alla fine, fosse andata molto meglio a chi era morto subito. Mai visto niente del genere, neanche su quei siti di internet che oggi fanno a gara nel mostrare il meglio (si fa per dire) del campionario degli orrori di cui l'uomo è capace. A ripensarci oggi, mi viene da chiedermi come mai il 6 e il 9 di agosto di ogni anno non si ricordino, non solo in Giappone ma in tutto il mondo, le centinaia di migliaia di vittime giapponesi dell'olocausto nucleare di settantasette anni fa. O meglio, lo so il perché, sono sempre i vincitori a scrivere la storia, ma ciò non toglie che bisognerebbe insegnarlo fin dalle elementari che cosa veramente fa un'atomica, quali sono i suoi effetti reali. Non è un caso se molti storici concordano sul fatto che se fossero stati i nazisti i primi ad arrivare alla bomba atomica, e se l'avessero usata, sarebbe stato considerato un crimine contro l'umanità.
Ma, come si dice, la storia non si fa con i "se". Così il Giappone è stato il primo, e per fortuna ancora l'unico, a sperimentare sulla propria pelle la devastazione di un bombardamento atomico. Da allora, e soprattutto dal 1949, quando anche l'Unione Sovietica arrivò a possedere quest'arma letale, il mondo è in bilico su questo baratro. Quello della deterrenza, ossia dell'equilibrio del terrore. Oggi più che mai, con la guerra in Ucraina, ne siamo consapevoli. Ma non è di questo che il mondo ha bisogno, non di questa che Papa Francesco ha definito domenica scorsa «una pace basata sull'equilibrio degli armamenti, sulla paura reciproca», perché questo «vuol dire far tornare indietro la storia di settant'anni». Di qui il nuovo appello «ai Capi delle nazioni e delle Organizzazioni internazionali, perché reagiscano alla tendenza ad accentuare la conflittualità e la contrapposizione. Il mondo ha bisogno di pace». La crisi ucraina, ha aggiunto, «avrebbe dovuto essere, ma – se lo si vuole – può ancora diventare, una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni. Con l'aiuto di Dio, questo è sempre possibile! Ma bisogna passare dalle strategie di potere politico, economico e militare a un progetto di pace globale: no a un mondo diviso tra potenze in conflitto; sì a un mondo unito tra popoli e civiltà che si rispettano». Prima che diventi troppo tardi.