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Professioni di fede online tra “like” e indifferenza

Guido Mocellin sabato 20 aprile 2024
Pietro, il centurione, Tommaso: sono i tre autori delle celeberrime professioni di fede consegnateci dai Vangeli. Da allora in poi «l'evento centrale della morte e risurrezione del Signore Gesù» ha dato vita a una «ininterrotta proclamazione di fede», recitava nel 1998 una nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede. Anche – apprendiamo grazie alla moltiplicazione degli sguardi e degli ascolti che la Rete ci consente – nelle forme imprevedibili dell’odierna comunicazione. Sul sito “ChurchPop” la redattrice dell’edizione ispanofona Harumi Suzuki, cogliendone la popolarità sui social, ne ha segnalate, a distanza di pochi giorni, due. Della prima (bit.ly/4aGezRo) è autrice una donna statunitense, di 88 anni, che soffre di demenza senile a uno stadio avanzato. La figlia, sul proprio account TikTok “1littlerebel 4.0”, la mostra (bit.ly/4aWUAha) mentre risponde evasivamente a domande banali (dove abiti, come eri vestita ieri, cosa hai mangiato…); ma alla domanda «Chi è Gesù» risponde con precisione: «È colui che mi ha salvato, che vive nel mio cuore e mi riporterà a casa». Quasi 10 milioni le visualizzazioni (un numero astronomico rispetto alle medie di questa utente), mentre tra i commenti molti attestano esperienze simili con i propri anziani, colpiti dalla stessa malattia. La seconda “professione” rilanciata da “ChurchPop” (bit.ly/3U5hbRH) è documentata dall’account Instagram (bit.ly/4aBDvJO) delle Figlie di Maria Ausiliatrice di San Antonio (Texas) ed è stata suscitata in suor Cecilia dalla recente eclissi di sole: «Sì, si vede davvero. Dio, sei meraviglioso! In tutta la creazione ti vedo. Wow!». Anche qui le visualizzazioni, 813mila, eccedono esponenzialmente quelle consuete dell’account. Dalla televisione ai social media Un’altra professione di fede di questi giorni è contenuta in un dialogo che è nato in televisione, ma che sui social è abbondantemente rimbalzato, anche perché speso in Rete da Rai2 come promo dell’ultima puntata del talk-show “Belve” (bit.ly/4cZIQML). Ne sono protagoniste le conduttrici Simona Ventura e Francesca Fagnani, la prima ospite della seconda. Sul finire, dopo che alcune domande e risposte hanno toccato temi di non piccolo spessore etico e spirituale, Fagnani chiede: «Se avesse l’opportunità di riportare in vita qualcuno che non c’è più...», e Ventura, dopo una piccola esitazione, risponde: «Gesù». «Certo. Però Gesù, le ricordo, è risorto…», obietta Fagnani, aggiungendo: «…siamo a Pasqua». «È risorto, è vero», ma «era talmente umano…», si giustifica Ventura, aggiungendo che vorrebbe dirgli: «Basta guerre, basta uomo contro uomo», cioè, in sostanza, pregarlo per la pace. Un po’ sorridono, come vuole il copione, ma si capisce che nessuna delle due ha scherzato. Il terzo insieme di professioni di fede viene da un carcere. «Durante l’“omelia partecipata” nelle celebrazioni eucaristiche con le sezioni Penale e Femminile della Casa circondariale di Bologna», ci informano le «persone detenute» che firmano il post su Settimananews (bit.ly/3xP61Jj), «il cappellano ha benedetto i presenti con la beatitudine di coloro che non hanno visto eppure hanno creduto. Si sono aggiunte spontaneamente alcune altre beatitudini», e non si può non convenire con gli autori e le autrici che, pur non essendo «direttamente evangeliche», si tratti di espressioni «profondamente umane e dunque capaci di Vangelo». Andare oltre la nostra indifferenza Due in particolare mi sembrano riconoscibili come professioni di fede, a maggior ragione considerando il contesto di prova dal quale provengono: «Beati quelli che hanno visto figli abbandonati, madri ripudiate, padri lasciati soli eppure credono in un Padre che mai abbandona alcuno», e «Beati quelli che hanno visto le lacerazioni che attraversano l’umanità e perfino la Chiesa e tuttavia credono nella Chiesa una, maestra di comunione». È solo una coincidenza temporale quella che mi ha fatto accostare affermazioni sulla fede così diverse. Ma in tutte possiamo vedere allo specchio la nostra indifferenza. Pronunciate al di fuori di qualsiasi dimensione liturgica o catechetica, contengono espressioni straordinarie: ci dicono, letteralmente, che Dio è il Creatore, che il Padre non ci abbandona, che Gesù è il Salvatore e il Risorto, che la Chiesa è comunione, e noi che, anche se non ci sentiamo delle “belve”, ci consideriamo meno ingenui dell’anziana e della suora, e più “per bene” dei detenuti e delle detenute, le scrolliamo sui nostri schermi come qualcosa di scontato, che si sa ma si dimentica, persino a Pasqua. Al massimo, prima di passare alla schermata successiva, ci mettiamo un like. © riproduzione riservata