Prodotti tipici, il primato italiano
Guardiamo ai numeri. Secondo l'Istat, alla fine dello scorso anno i prodotti agroalimentari degni di fregiarsi di un marchio Dop (denominazione d'origine protetta), Igp (Indicazione geografica protetta) e Stg (Specialità tradizionale garantita) erano 194: ben 19 in più rispetto al 2008. I settori con più riconoscimenti sono gli ortofrutticoli e cereali (69 prodotti), gli oli extravergine di oliva (38), i formaggi (36) e le preparazioni di carni (32), mentre le carni e gli altri settori (altri prodotti di origine animale, aceti diversi dagli aceti di vino, prodotti di panetteria, spezie, oli essenziali e prodotti ittici) comprendono, rispettivamente, 3 e 16 specialità. Numeri di tutto rispetto, che fanno ancora una volta dell'Italia il primo Paese europeo per numero di riconoscimenti conseguiti. Mentre i prodotti tipici si confermano come una componente sempre più significativa della produzione agroalimentare nazionale e un fattore di competitività e identità delle realtà agricole locali.
Soprattutto però, sono cresciuti gli operatori coinvolti dal comparto. Sempre alla fine dell'anno erano esattamente 82.120 unità (+2,1% rispetto al 2008): il 92,6% di questi svolge esclusivamente attività di produzione, il 5,7% solo quella di trasformazione e il restante 1,7% effettua entrambe le attività. È però forse da questi ultimi numeri che si può scorgere una debolezza ma anche uno spazio di sviluppo. Sarebbe infatti utile una crescita delle imprese agricole che riescono anche a trasformare oltre che solamente produrre materia prima seppur a denominazione, piuttosto che essere costrette a vendere i loro prodotti tipici ad altri. Crescerebbe la porzione di valore aggiunto in mano al comparto primario. Proprio ciò che l'agricoltura in generale non riesce ancora a conquistare, anche se in questi ultimi tempi alcuni segnali positivi ci sono stati. È sempre l'Istat a delineare la situazione: nel secondo trimestre di quest'anno, è stata solo l'agricoltura a perdere valore aggiunto (-2,7%) rispetto alla crescita in termini congiunturali dell'industria e dei servizi. Senza contare il contemporaneo o quasi calo degli investimenti e l'aumento dei costi di produzione. Certo, su base annuale c'è stato un recupero dello 0,4%, ma nel 2009 il tracollo era stato del 5,2. Insomma, gli agricoltori hanno ben ragione di continuare ad essere preoccupati.