È difficile scrivere sulla nuova legge elettorale senza rischiare di apparire come sostenitore di questa o quella posizione politico-partitica, anche a causa del collegamento, quasi ossessivo, che si vorrebbe introdurre tra la sua approvazione in fretta e la data delle prossime elezioni. Penso sia utile individuare alcuni punti essenziali, anche per attenuare il rischio di un'ulteriore pronuncia da parte della Corte costituzionale: è vero che anche la legge elettorale tedesca (sempre lì si finisce …) ha avuto più d'una bocciatura da parte del Tribunale costituzionale di quel Paese, ma nel nostro caso a essere censurata è stata la stessa formula elettorale, cioè il meccanismo che trasforma voti in seggi. E una terza dichiarazione di incostituzionalità, a distanza ravvicinata dalle sentenze n. 1 del 2014 e 35 del 2017, aggraverebbe la sfiducia e la capacità di tenuta del sistema. Una legge elettorale "giusta" deve anzitutto non contrastare con le norme costituzionali dedicate alla materia, in particolare - per stare a una discussione di queste ore - con quelle che prevedono che il numero degli abitanti della Repubblica, che costituisce il numeratore per la ripartizione dei seggi tra i diversi collegi, sia quel che risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione (artt. 56 e 57 Cost.); deve corrispondere ai princìpi di fondo ricavabili dal testo costituzionale, a partire dall'esigenza di assicurare un potere di scelta personale all'elettore dentro un convincente equilibrio tra rappresentatività e governabilità. Venendo a profili di opportunità, una buona legge rifugge da eccessive rigidità e valorizza l'elettore, tanto più nell'attuale contesto di grande variabilità delle scelte elettorali e di "poli" politici deboli e internamente tormentati. Così è opportuna l'introduzione di quello che è stato storicamente uno dei "segreti" del sistema tedesco, il doppio voto disgiungibile, uno al candidato nel collegio uninominale l'altro alla lista: lo pratichiamo positivamente da oltre 20 anni (per sindaco e Consiglio comunale sopra i 15.000 abitanti) ed escluderlo potrebbe far pensare che i partiti non si fidino né dei propri elettori né dei candidati. Semmai andrebbero aggiunte cautele per evitare aggiramenti e furbizie sul tipo delle cosiddette liste-civetta di qualche anno fa. Sulle "grandi coalizioni" mi limito a notare che sono considerate un rimedio a esiti elettorali che non consentano la formazione di facili maggioranze di governo: mi parrebbe singolare l'ideazione di leggi elettorali volte a favorirle. Un vantaggio tali coalizioni lo potrebbero avere: costringere a programmi dettagliati e verificabili, a passare da promesse a proposte e da queste alla verifica e alla valutazione delle decisioni. Un sogno? Sì, quello della democrazia.