Davvero un libro utilissimo e ben scritto, quello di Andrea Tornielli, intitolato La fragile concordia (Bur/Rizzoli, pp. 224, euro 9,80), che ricapitola centocinquant'anni di storia dei rapporti dei cattolici italiani con lo Stato unitario. Con un equilibrio che rasenta l'obiettività, il giornalista non scansa neppure uno dei nodi che l'abbondante storiografia ideologicamente multicolore aggroviglia strattonandoli, anziché scioglierli. Dagli «stop and go» di Pio IX, alle discussioni e lacerazioni dell'Opera dei congressi, al Patto Gentiloni e alla breve e contrastata esperienza del Partito popolare, all'ondivago rapporto col fascismo, all'elaborazione della Costituzione con la «consulenza» della Segreteria di Stato, al travagliato rapporto di De Gasperi con la Santa Sede nonostante la vittoria democristiana del 1948, fino alla svolta del centrosinistra e alla mannaia di Tangentopoli, addirittura fino alla discesa in politica di Berlusconi e alle incertezza dell'ora presente. Con appropriate e variamente orientate citazioni, Tornielli offre un breve manuale che facilita riflessioni e ripensamenti. La storia di questi 150 anni è davvero complessa, e il dato più rilevante e incontestabile che ne emerge è che il «mondo cattolico» non è mai stato unanime: c'erano cattolici con Pio IX e cattolici con i Savoia, cattolici fascisti e cattolici antifascisti, cattolici pro e contro il centrosinistra, cattolici pro e contro Berlusconi, come, del resto, non è stato univoco l'atteggiamento dei Papi che si sono succeduti da Pio IX a Benedetto XVI. E allora? Allora applausi al pluralismo delle scelte politiche dei cattolici, quando non sono in gioco i valori «non negoziabili». Diverso il tono del volume curato da Lucetta Scaraffia, I cattolici che hanno fatto l'Italia (Lindau, pp. 256, euro 23). È un libro scritto da «professori», anche se non meno divulgativo, e la tesi che la curatrice fa emergere è quella di un'inaspettata e chiara «eterogenesi dei fini»: così come è unanimemente riconosciuto che la perdita del potere temporale del papato, ancorché estorta con metodi semi-criminali, si è rivelata un bene per la Chiesa, analogamente le angherie inflitte ai cattolici dal Regno sabaudo hanno dato nuovo slancio alle istituzioni religiose e all'impegno sociale dei cattolici. Lo Stato ha incamerato i beni ecclesiastici? Le congregazioni hanno trovato moderne formule per risorgere attraverso fondazioni, società di diritto civile, intestazioni dei beni a singole persone di fiducia, e così via. Certo, Scaraffia riporta le denunce dei soprusi sabaudi ai danni dei cattolici, documentate da Angela Pellicciari: eppure, a riprova che il sangue dei martiri è seme dei cristiani, quelle stesse persecuzioni hanno dato nuova linfa allo slancio sociale e caritativo di don Bosco, della Cabrini, e di tante fondatrici che, nell'Ottocento, sono state anticipatrici dell'impegno e dell'emancipazione della donna. Il libro si articola in cinque capitoli, affidati ad altrettanti studiosi (Andrea Pennini, Franco M. Azzalli, Oddone Camerana, Simonetta Trombetta, Grazia Loparco), che documentano le iniziative dei cattolici sorte, nonostante i vincoli e le ostilità, proprio in Piemonte e con proiezione universale. Sia chiaro: che da un male venga, appunto per «eterogenesi dei fini», un bene, non va preso come un incoraggiamento al male o una sua assoluzione. Il male resta male, l'ingiustizia resta ingiustizia, anche e soprattutto se compiuta da un Regno che proclamava «religione di Stato» la religione cattolica. Anche Giuda ha un ruolo nella redenzione, ma Gesù ha detto: «Meglio per lui se non fosse mai nato».