Preti e social network: una lezione da Bologna
Non è difficile spiegarsela. Certo senza averne cognizione, don Guidotti ha agitato nel suo post un mix di ingredienti (clero, sesso, minori, sballo, migranti/sicurezza, rigore/lassismo…) che anche solo presi a due a due bastano a fare notizia. Ma il punto sta proprio nel fatto che egli, forse sentendosi al riparo di un profilo Facebook non aperto a tutti, non ne ha avuto cognizione. Qualche mese fa, su questo giornale, ho abbozzato tre modelli ai quali, per la mia esperienza, sono riconducibili i preti attivi sui social network. Don Lorenzo Guidotti mi pare rientri tra quei sacerdoti che trasferiscono e condividono online le proprie inclinazioni senza fare mistero della propria identità di prete (come invece capita ad altri loro confratelli), ma senza rendersi conto che anche in Rete stanno esercitando il proprio ministero. Anzi: può capitare che sottovalutino la dimensione pubblica di questa loro attività, e dunque che si sbilancino, in un post o in un commento su un post altrui, in espressioni azzardate che invece tratterrebbero se fossero all'ambone. In sintesi: quando sono su Internet, è come se credessero di essere un po' nel loro studio e un po' nella loro sagrestia. Il caso deflagrato da Bologna mostra quanto invece ciascun prete (non meno di tutti noi, ciascuno in proporzione alle responsabilità sociali che rivestiamo) debba ricordarsi di essere un prete sempre, anche su Facebook, e regolare di conseguenza quello che dice e come lo dice.