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Portieri speciali al Mondiale, e cose più grandi del calcio

Mauro Berruto mercoledì 27 giugno 2018
Nel gioco del calcio, quello del portiere è un ruolo speciale, misterioso, poetico. Di questa figura solitaria racconta Umberto Saba in una bella poesia che si intitola, all'inglese, "Goal", che mette a confronto l'amarezza e le lacrime del portiere che il gol lo ha subito con la gioia solitaria del portiere della squadra che ha segnato il quale, da solo, a cento metri di distanza festeggia con capriole e baci a testimonianza del suo voler partecipare alla festa. Due solitudini a confronto, così vicine eppure così distanti.
Giocarono nel ruolo del portiere Ernesto Guevara che, nel corso del suo viaggio in motocicletta in Sudamerica, difese la porta di una squadra di militari di stanza presso il villaggio di Leticia, in Colombia, e Albert Camus che, prima di vincere un premio Nobel, giocò per il Racing Universitario ad Algeri e fu costretto a rinunciare a una carriera promettente solo a causa della tubercolosi.
La storia del calcio è piena di portieri leggendari e talvolta un po' matti. Ne scelgo uno a cui affido la fascia da capitano di una tipologia di atleta, diciamo, poco convenzionale: Hugo Gatti, detentore del record assoluto di presenze nel campionato argentino. Scese in campo 775 volte con i suoi capelli lunghi e una fascetta a raccoglierli, alla Björn Borg. Come tutti i calciatori argentini era noto con il suo soprannome, "El Loco". In effetti, era tanto matto da essere in grado giocare per entrambe le squadre divise da una delle rivalità più feroci del calcio (River Plate e Boca Juniors, di cui divenne una bandiera a dispetto della sua provenienza "nemica"). El Loco Gatti è una miniera di aneddoti. Il più gustoso? Si dice che nel corso di una partita in cui il suo Boca dominava e schiacciava gli avversari nella loro metà campo, per ingannare, il tempo si mise seduto a cavalcioni della traversa della sua porta, per vedere le cose da un altro punto di vista.
Naturalmente, anche il Mondiale russo racconta storie di portieri tutt'altro che convenzionali. Ne scelgo tre che, in modo diverso, ci riconciliano con un'idea di calcio romantica, capace di lenire un po' la pena di questa estate orfana della nostra nazionale. La prima è la storia di Hannes Halldórsson, ragazzone islandese che fa un doppio lavoro: regista e calciatore. Diciamo che, a partire dall'allenatore che fa il dentista, questo modello è abbastanza consueto per i calciatori nordici, ma la cosa affascinante è che Halldórsson è riuscito, in un Mondiale, a parare un rigore a Lionel Messi, il calciatore più talentuoso (e forse più triste). Una sceneggiatura che difficilmente sarebbe riuscito a immaginare lui stesso che, a questo punto, appare inevitabilmente chiamato a dirigere un film sulla propria vita.
Però Halldórsson potrebbe battere il ciak per raccontare un'altra vita incredibile, davvero da film. Quella del suo collega Alireza Beiranvand, estremo difensore dell'Iran, figlio primogenito di una famiglia nomade dedita alla pastorizia, che fuggì di casa per andarsi a conquistare il suo sogno. Proprio nel viaggio verso Tehran incontrò casualmente, sul bus diretto verso la capitale, un allenatore di una piccola squadra. Non avendo un soldo in tasca e dormendo in strada, Alireza decise di farlo davanti alla porta di ingresso della sede di quel club finché l'uomo incontrato sul bus e inviato dal destino decise di dargli una possibilità.
Quello fu il punto di svolta, perché Alireza incominciò a giocare in quella squadretta e a trovare piccoli lavori (addetto in un autolavaggio, pizzaiolo, spazzino) finché il manager della nazionale Under 23 lo notò. Da lì incomincio la sua rapidissima scalata verso il professionismo del calcio, fino ad arrivare al Mondiale in Russia dove, guarda un po', para anche lui un rigore, all'altra icona del football planetario: Cristiano Ronaldo.
L'ultima storia è quella di un portiere che avrebbe dovuto essere proprio nello stesso girone dell'Islanda: il nigeriano Carl Ikeme. Purtroppo, però, Ikeme è stato fermato non da una mancata convocazione, ma dalla leucemia. Il suo ct, Gernot Rohr, lo aveva convocato come 24° uomo per averlo lì con la squadra, testimone vivente di coraggio e dedizione. Ikeme però non è riuscito a partire per la Russia, così i suoi "avversari" islandesi gli hanno reso omaggio posando, prima del match contro i nigeriani con una maglietta a lui dedicata. La Nigeria, per la cronaca, ha vinto 2-0, ma il ct-dentista dell'Islanda, ha dichiarato che quel gesto «dimostra che ci sono cose molto più grandi del calcio». Già.