Populismi. Contro la babele delle parole, alcune modeste proposte
Piuttosto che la schermaglia di parole, sembra dunque utile una migliore messa a fuoco del terreno in cui quelle insoddisfazioni e quelle paure si radicano, anche per valutare quanto in esse vi sia di reale e quanto di percepito. Da trovare, in primo luogo, in politiche pubbliche solidali e tali da non fare sentire nessuno come dimenticato e non rappresentato. In secondo luogo, in un'azione culturale volta a migliorare la consapevolezza concreta dei problemi, mediante la conoscenza dei dati reali e non di quelli propagandati: il tutto al fine di permettere a ciascuno di pensare con la propria testa e di agire di conseguenza, che è poi il vero antidoto alle tentazioni populiste, nel senso di riduttive della realtà delle cose.
Ciò vale anche per il cosiddetto populismo penale, cioè l'insistenza a senso unico sulla pena detentiva e la svalutazione di strategie di intervento diverse, pur se maggiormente rispettose dei princìpi costituzionali. Antidoto a esso è la migliore conoscenza del funzionamento delle istituzioni, anche carcerarie, inclusi i dati sulla reale efficacia delle politiche del tipo "dentro e getta le chiavi".
Maggiori criticità mi sembra comporti parlare di populismo giudiziario, fenomeno che ricorrerebbe quando il magistrato, in genere quello penale, si pone come autentico rappresentante e interprete delle aspettative di giustizia del popolo. Qui siamo in presenza di una forzatura della corretta divisione dei poteri, talvolta incentivata dall'assenza o dall'insufficienza delle risposte della politica e dell'amministrazione. Certo, il magistrato deve evitare di lasciare sullo sfondo il secondo comma dell'art. 101 Cost. (i giudici sono soggetti soltanto alla legge) e di privilegiarne il solo primo comma (la giustizia è amministrata in nome del popolo); ma la risposta della politica e dell'amministrazione non deve mancare, e non può affidarsi alla babele delle parole.