La riproposta di Tre saggi sulla poesia di Edgar Allan Poe, a cura di Elio Chinol, è un bel dono delle Edizioni Iduna (pp. 162, euro 12) a chi vuole entrare nell'officina artistica di uno scrittore che, parlando del proprio metodo di lavoro, illumina le norme interne della creatività letteraria. Poe (morto a quarant'anni nel 1849 - Allan è il cognome della famiglia adottiva) non è solo l'iniziatore del giallo psicologico e della letteratura dell'orrore, ma è stato anche importante critico letterario e poeta. L'anglista Elio Chinol (1922-1996) ricorda nella prefazione, datata 11 novembre 1947, che «fu primo Baudelaire a usare a proposito di Poe l'espressione "poesia pura"», ma se per "poesia pura" intendiamo «una composizione che manchi totalmente di ogni contenuto discorsivo e concettuale e racchiuda tuttavia la possibilità di infiniti significati suggeriti dalla cellula musicale del verso», si farebbe torto a Poe considerarlo "poeta puro". Poe, infatti, contesta che il fine ultimo della poesia sia la verità e delinea tre partizioni nel mondo spirituale: il Puro intelletto, il Gusto e il Senso morale. «Mentre l'Intelletto è volto alla ricerca della Verità e il Gusto è intelligenza del Bello, il Senso Morale è comprensione di quel Dovere di cui mentre la Coscienza insegna l'obbligatorietà e la Ragione la convenienza, il Gusto s'accontenta di dimostrare il fascino della Bellezza». Per questo Poe mette il Gusto in mezzo perché è in rapporto con la Verità e col Senso morale, ma la sua specificità è il senso del Bello, «immortale e profondo istinto dello spirito umano». Siamo ben lontani, dunque, dalla "poesia pura" prospettata da Baudelaire. Ne abbiamo la riprova nel saggio Filosofia della composizione in cui Poe spiega la genesi della sua poesia più celebre, Il corvo. Parentesi: fra i criteri stabiliti da Poe vi è che la poesia non deve essere "lunga". Infatti, «una composizione merita il nome di poesia solo in quanto eccita, elevando l'anima. Ma, per necessità psichica, ogni eccitamento è transitorio; così che quello stato di eccitamento che dà a una poesia ragione del suo nome, non può sostenersi per tutta una composizione di considerevole lunghezza». Talché una grande opera come il Paradiso perduto di Milton «si deve considerare solo quando, tralasciando il vitale requisito di ogni opera d'arte: l'unità, la riguardiamo semplicemente come una serie di brevi poesie» Chiusa la parentesi. Il corvo (The raven) è di 108 versi (18 strofe di sei versi), dunque non troppo lunga né troppo corta (la poesia corta scade nell'epigramma). Poe spiega che il punto di partenza era di trovare un ritornello da ripetere a ogni strofa, e la scelta si concentrò su una sola parola, Nevermore (Mai più). La poesia descrive il notturno di un giovane affranto per la morte dell'amata Lenora che rivolge a un corvo apparso alla finestra domande che ottengono l'invariabile risposta "Mai più". Tutto è finito, l'amore non tornerà mai più, né la gioia. Una poesia triste, dunque, perché, ed è un'altra intuizione di Poe, la bellezza è triste.